Relazione Honsell su DDL 107 di gestione concessioni di grandi derivazioni d’acqua a uso idroelettrico

Relazione Honsell su DDL 107 di gestione concessioni di grandi derivazioni d’acqua a uso idroelettrico

Discutere una legge su questo tema, in questa regione, non è questione che possa essere guidata dai soliti criteri utilitaristici, nemmeno se strategici, e tanto meno da criteri opportunistici. La memoria di quanto vada ricordato non come la tragedia del Vajont, ma piuttosto come il massacro del Vajont, non è solamente vivissima in alcuni dei nostri cittadini sopravvissuti a quell’apocalisse che avvenne il 9 ottobre 1963 alle ore 22.39 in quella valle violentata dalla diga, ma ha segnato per sempre l’immaginario del nostro paese. Quel massacro è stato il risveglio brutale dall’incosciente e criminale euforia che aveva caratterizzato l’Italia del boom.

A 57 anni di distanza, nella nostra epoca presente, altrettanto arrogante e incosciente di fronte ai segnali tremendi del riscaldamento globale, nella quale l’umanità tutta è minacciata di estinzione precoce a causa del proprio avido stile di vita, il massacro del Vajont assume nuovi e più forti significati e ci rivolge moniti ancora più severi.

Il nostro scrittore più famoso, Carlo Sgorlon, sempre capace di trasfigurare la narrazione di vicende locali in allegoria universale, nel libro L’ultima valle racconta la parabola di un certo tipo di sviluppo brutale in una valle di montagna, ovvero in un Vajont metafisico, che inesorabilmente conduce tutto e tutti a ciò che in friulano egli chiama il montafin, ovvero la fine del mondo. Il primo dialogo del libro si apre con le seguenti e inquietanti parole di Siro, un vecchio e per certi versi originale, abitante della valle: “secondo me ci sono delle novità nell’aria”. Penso che queste parole esprimano nel modo più limpido quello che deve essere lo spirito che ci deve guidare nel discutere questa legge: il rispetto delle sensibilità delle comunità che vivono quei territori, che ospitano quegli invasi impressionanti, che contengono quelle altrettanto impressionanti masse d’acqua da cui è possibile ricavare l’energia rinnovabile di cui c’è così tanto bisogno oggi. Sono loro i primi e perciò anche i più titolati depositari di quel bene indisponibile che è l’acqua. Non basta più infatti la, pur commossa, umana pietà per i 1917 morti del massacro del Vajont. Si deve riconoscere fattivamente che l’avidità senza troppi scrupoli, la miopia dell’economia coniugata ad una semplicistica e sciocca fede nella tecnologia, che si illude di un’ideale di progresso facile, sono i pericoli più grandi che ancor oggi, anche sotto altre forme, non siamo riusciti a scongiurare.

Giungiamo al DDL 107, come ci ha abituati questa Giunta, sul filo del rasoio, ad horas dalla scadenza del 31/10/2020 prevista dal comma 125-bis del D.L. n. 18/2020 nazionale, che ha prorogato quella originariamente definita dal D.L. n. 135/2018, per disciplinare la regionalizzazione della proprietà delle opere idroelettriche alla scadenza delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. “Alle Regioni”, recita la legge “è demandata la disciplina, con legge, delle modalità e delle procedure di assegnazione. Le procedure di assegnazione delle nuove concessioni dovranno essere avviate entro due anni dall’entrata in vigore della legge regionale e in caso di mancato rispetto del termine di avvio da parte della regione interessata, si prevede l’esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato”.

Ringrazio il gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle e in particolare i consiglieri Sergo e Capozzella per aver fatto suonare la sveglia e avviato già molti mesi fa, nel sonno di questa amministrazione, un percorso che ha portato a depositare la PDL n. 98 nel giugno scorso, e che oggi è abbinata al DDL 107, stimolando così il Consiglio e la Giunta su questo tema, e per avermi coinvolto nella fase finale della stesura della PDL n. 98, che ho firmato.

Le due leggi, se viste da sufficientemente lontano sono simili perché traducono quelli che sono i principi previsti dal D.L. n. 135/2018 nazionale. Entrambe vedono la Regione assumere con decisione un ruolo da protagonista in tema di concessioni definendo con chiarezza il regime delle opere e dei beni, le modalità di assegnazione di concessioni, le procedure, i bandi e i criteri di valutazione. Vengono individuate misure di compensazione, di miglioramento energetico e di risanamento ambientale. Entrambe le leggi rendono concreta la possibilità della costituzione di una società idroelettrica regionale a capitale misto, pubblico -privato, per la gestione delle grandi derivazioni. In entrambe le leggi vengono fatti sforzi precisi per sfuggire agli esiti di una certa giurisprudenza che ha già visto impugnare con successo da parte dello Stato analoghe leggi regionali di altre Regioni e per non prestare il fianco a possibili ricorsi al TAR da parte degli attuali concessionari. Al riguardo va sottolineato che l’ipocrita grido di protesta di questi ultimi, che vede addirittura come anticostituzionale l’acquisizione, senza equo esproprio, delle opere cosiddette “bagnate” è da rigettarsi categoricamente in quanto non va confuso il ruolo di concessionario, quale quello che hanno sempre svolto, con quello del proprietario.

Viste più da vicino però le due leggi presentavano originariamente differenze importanti che sono risaltate in Commissione, anche a seguito delle audizioni, soprattutto dei sindaci dei comuni interessati, delle associazioni di cittadini, e dei lavoratori.

La distanza tra le due leggi si è ridotta in sede di approvazione in Commissione con l’accoglimento di alcuni spunti ed emendamenti presentati dall’opposizione, frutto di interventi anche nostri, e sono state promesse ulteriori modifiche in sede di approvazione.

In primo luogo sono stati inseriti, all’art. 9, comma 2, e all’art. 21, comma 2, i necessari passaggi dei regolamenti previsti dalla norma attraverso le commissioni consiliari. I DDL a cui ci ha abituati l’attuale Giunta sono spesso norme quadro, che prevedono regolamenti o ulteriori decisioni e che purtroppo la Giunta propone di precisare sempre in modo autoreferenziale. Questi cortocircuiti del Consiglio non sono opportuni.

Altro obiettivo raggiunto in Commissione è stato l’articolazione più ampia dell’art. 17 sulle clausole sociali. Giungiamo a questa legge dopo una fase, per certi versi non ancora conclusa, nella quale i lavoratori delle dighe, i cosiddetti guardiadighe hanno subito un trattamento da parte di alcuni concessionari che ha messo a repentaglio la loro sicurezza e quella degli impianti, trattamento che a volte aveva il sapore di quegli sfruttamenti che avvenivano nell’Inghilterra del ‘700 agli albori dell’era industriale. Trattamenti, sui quali, avevamo richiamato l’attenzione del Consiglio ancora due anni fa, anche come gruppo Open – Sinistra FVG. Non sono ancora concluse tutte le cause di lavoro ma tutte quelle concluse hanno visto il concessionario soccombere e condannare la pratica di ridurre il personale in servizio presente e speculare sui suoi orari di lavoro. L’attuale formulazione dell’art. 17 è adesso soddisfacente e tutela in modo molto più forte i posti di lavoro in essere e la qualità dei contratti.

Significative infine sono state le modifiche ottenute in Commissione relative all’art 18, comma 1, sulle cessioni di energia, e all’art. 24, comma 4, delle norme transitorie, che adesso vedono destinare il 100% delle cessioni di energia gratuita, o la loro monetizzazione, ai servizi pubblici e alle categorie di utenti delle Comunità di montagna e dei Comuni della Regione interessati dalle derivazioni.

 

Rimangono però ancora alcuni aspetti piuttosto significativi che segnano una distanza ancora da colmare tra le due leggi. Ci riserviamo di dare parere favorevole alla presente legge qualora queste distanze vengano ridotte con precisi emendamenti nell’articolato della 107.

Tutti riguardano la tutela delle comunità maggiormente interessate dalle derivazioni.

Il primo concerne l’art. 21 sul canone di concessione e in particolare la modifica della formulazione del comma 2 lettera b) che attualmente così recita: “Con regolamento regionale […] sono determinati […] i criteri di riparto della quota dei canoni spettante ai Comuni i cui territori sono interessati dalle grandi derivazioni d’acqua a uso idroelettrico”.  Come si è detto deve essere primaria la tutela e la sensibilità delle comunità su cui grava il maggior peso e rischio delle servitù che nascono dalle derivazioni e dagli invasi e quindi dal ridotto o alterato regime dei corsi d’acqua. Se questa legge avrà una valenza storica, questa sarà proprio quella di ribaltare la vecchia logica opportunistica e affermare una nuova logica per armonizzare il conflitto tutela del territorio-sviluppo economico ovvero quella di assumere il punto di vista della comunità stesse, che ben è stato espresso nella lettera dei 53 sindaci della montagna inviata al Consiglio. Una logica nuova questa, che avrà una portata, alla luce dei moderni risvolti di tale conflitto, anche in ambiti molto diversi. Quindi non può essere prevista una mera quota di canoni, ma questa quota va specificata in legge è posta al 100%! Se così non venisse fatto allora vorrebbe dire che non si è capita la lezione, e i territori montani o immediatamente a valle sono visti come territori da sfruttare da parte di altre realtà.

Il secondo aspetto riguarda la delicata questione dei miglioramenti energetici all’art. 14, che vedono ancora parlare di “pompaggio e di bacini di accumulo in quota” senza una visione olistica che tenga conto di tutti gli effetti collaterali. Il caso del Lago di Cavazzo infatti, avrebbe dovuto essere preso seriamente in considerazione in questa legge. Era, e dico era, il più grande lago naturale della Carnia. Oggi, dopo vicende che l’hanno visto subire variazioni di livello drammatiche e spesso anche repentine, che gli infliggono oscillazioni estreme di temperatura dell’acqua e della quantità di detriti, il Lago non viene nemmeno nominato, se non indirettamente attraverso l’inquietante ipotesi di ritornare ad essere il bacino da cui attingere per il pompaggio dei bacini di accumulo in quota. Se davvero si intende legittimare con questa legge operazioni di miglioramento energetico in questa direzione, non è possibile limitarsi ad un articolato che preveda ciò che si pensava definitivamente tramontato. Va definito in questa legge un punto di equilibrio tra le esigenze ambientali, turistiche e industriali. Non si vuole discutere il concetto di bacini di accumulo che se ben congegnati possono permettere di mitigare le conseguenze dei mutamenti climatici, ma un tema potenzialmente così oneroso per le comunità deve essere disciplinato con attenzione molto maggiore, oppure va vietato.

Veniamo infine alle debolezze dell’attuale articolato.

La prima critica severa è di carattere culturale. Questa legge, come ho argomentato, potrebbe avere una valenza storica per questa regione ma anche per l’epoca nella quale è varata, perché tratta di temi energetici. Invece è priva di qualsiasi passaggio valoriale e strategico nei suoi principi. È priva di slancio ideale. L’art. 1 della PDL n. 98 esplicitava in modo dettagliato i significati ambientali strategici che investono temi quali l’energia da fonti rinnovabili, gli usi plurimi e sostenibili delle acque, il raccordo con il Green Deal europeo e quanto si dovrebbe fare davvero per la next generation, cioè per coloro che verranno, non come il nome di un intervento finanziario. L’art. 1 del DDL n. 107 è invece privo di qualsiasi visione.

La seconda critica è collegata alla prima e riguarda la genericità dell’art. 12 sui criteri di valutazione e dell’art. 13 sugli obblighi e limitazioni gestionali. In entrambi andrebbero posti criteri più precisi e stringenti, andrebbe creato lo spazio per un ruolo proattivo volto a coinvolgere le comunità, che favorisca la presentazione di proposte di valorizzazione e tutela dei territori. Va imposto per legge di abbandonare la logica utilitaristica degli attuali concessionari, per accogliere una logica territoriale. Non si tratta solamente di mantenere i posti di lavoro ma di incrementarli, favorendo l’occupazione anche femminile, giovanile e innovativa. Va da sé che ciò non può essere messo brutalmente nel capitolato come prerequisito, ma questi principi dovrebbero informare l’articolo e il futuro capitolato al fine di sollecitare proposte migliorative in tal senso. La transizione energetica del green deal vedrà grandi opportunità occupazionali nel settore delle fonti di energia rinnovabile. Questa legge sembra non esserne consapevole e lascia aperte tutte le porte per un telecontrollo che veda, come già purtroppo avviene, il trasferimento di tutta l’intelligenza gestionale altrove rispetto ai territori la cui sensibilità è stata trascurata per troppo tempo.

Infine la terza criticità è quella più tecnica. Se la Regione vuole svolgere un ruolo da protagonista nel settore idroelettrico deve tutelarsi da patti parasociali che potrebbero rendere il suo 51% una mera ipocrisia a fronte di accordi che ne imporrebbero la subordinazione al partner tecnico ancorché di minoranza. Questo punto va chiarito altrimenti si continua a predicare di una società energetica regionale quando la Regione finirebbe solamente per assorbire le perdite e non partecipare agli utili, come spesso accade nelle situazioni miste pubblico-private.

Su tutti questi punti faremo degli emendamenti, al cui accoglimento subordineremo il voto favorevole a questa legge che altrimenti vedrà la nostra astensione.

In conclusione questa legge potrebbe essere una legge storica per la nostra regione e per tutto il paese che ci guarda a valle del massacro del Vajont. Una legge che tuteli la prossima generazione, l’autentica Next Generation, e non solo il next budget.

Non ci saranno molte altre occasioni per operare in favore di coloro che verranno, se le perdiamo, alla fine le dighe resteranno solitarie per coloro che non verranno.

Qui puoi scaricare il testo del Disegno di Legge fuoriuscito dalla Commissione

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Furio Honsell administrator

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