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“Ribellione” sindaci al “Decreto insicurezza”: qualche riflessione

La “ribellione” di Sindaci al “decreto insicurezza” di Salvini conferma come l’approccio esclusivamente ideologico con il quale il governo nazionale (e anche quello regionale) affrontano il tema dell’immigrazione sia sbagliato non solo sul piano etico, ma anche su quello pratico. Decidere senza un dibattito, senza coinvolgere gli operatori sul territorio, preoccupandosi più del marketing elettorale che delle conseguenze delle proprie scelte è altamente nocivo e questo emerge giorno dopo giorno. Basti pensare al tema della residenza, necessaria soprattutto per quella “sicurezza” costantemente rivendicata, dato che significa essenzialmente sapere “chi vive dove e facendo cosa”: gettare la gente nell’ombra, rendere irregolari i regolari è solo un enorme favore al mondo perverso del caporalato e della malavita, cosa della quale molti sindaci sono ben consapevoli e preoccupati.
E’ per questa ragione che mi auguro che la Corte Costituzionale si pronunci quanto prima sugli aspetti più controversi del decreto, non solo nell’interesse del decoro giuridico del Paese ma anche dell’ordinato governo delle nostre città e dei nostri territori.

Sulle ultime dichiarazioni del Sindaco Fontanini

Certamente hanno sbagliato coloro che hanno deturpato il presepe di Piazzetta del Pozzo, avrebbero potuto fare un presepe loro dove esprimere gli importanti concetti che invece manifestati in questo modo rischiano di non essere colti e che invece renderebbero ancora più attuale il presepe.  Ma chi in questa vicenda commette l’errore più grave è il Sindaco Fontanini che dopo aver fatto togliere le panchine che venivano occupate da anziani e migranti adesso se la prende ferocemente con gli Lgbt dicendo che sono stati loro. Questo è un commento razzista e omofobo e forse Fontanini dovrebbe capire che il mondo gay è soprattutto un mondo di amore. Concludendo, il Sindaco di Udine dovrebbe essere Sindaco di tutti.

Immagine del Messaggero Veneto

La mia relazione su Ddl 32 – riforma Enti locali

Con l’approvazione di questa Legge assisteremo impotenti ad un’altra demolizione. Non certamente alle premesse di una riforma e nemmeno, come viene millantato,ad una modifica della legislazione pre-esistente, bensì ad un ulteriore passaggio di quella ineffabile opera di sfascio da parte dell’attuale Giunta,delle parti più innovative dell’impianto legislativo di questa Regione, senza che siano state pienamente comprese. A nostro avviso, come OPEN-Sinistra FVG, l’attuale Maggioranza è posseduta da un’ossessione iconoclasta, dall’imperativo di esorcizzare quanto è stato fatto da chi li ha preceduti, dal bisogno quasi fisico che le Unioni Territoriali Intercomunali si decompongano, e se mi si concede un termine un po’ forte, direi “che le UTI marciscano”! Si badi bene non viene proposta un’alternativa all’organizzazione sovracomunale, né si cancella la Legge così odiata, ma le si crea un contesto nel quale possa incancrenirsi.

Questo modo di operare ricalca la strategia del famigerato Decreto Sicurezza, recentemente approvato dal Governo, seppure su un tema molto più drammatico. Come quella legge cancella la parte più efficace dell’accoglienza, ovvero l’accoglienza diffusa, ma ne lascia la parte potenzialmente più problematica ovvero l’accoglienza concentrazionaria, al fine di esasperarne le conseguenze e poter continuare a capitalizzare sulla paura; così questa Legge toglie alle UTI il ruolo strategico di interlocutore nell’intesa con la Regione, ovvero di filtro dei campanilismi; concede ai Comuni la possibilità di sfilarsi, anzi li incentiva a farlo, premiando coloro che non ne hanno fatto parte, come abbiamo visto nei riparti approvati dalla Legge di Stabilità, ma mantiene, per così dire in rianimazione le UTI, confermandole nella responsabilità di funzioni molto delicate e importanti quali l’edilizia scolastica, che la Giunta non ha saputo gestire altrimenti, senza però assegnare loro il personale per svolgere tali funzioni con le forze a loro dedicate quando esistevano le Province. L’effetto, direi lo scopo, sarà dunque quello di trovare, a spese dei nostri studenti, ancora nuove colpe e fallimenti delle UTI, così da continuare a demonizzare con motivazione fresche l’innovazione legislativa della Giunta precedente. La cifra della politica di questa Maggioranza, come del resto della sua omologa a livello nazionale, si concreta infatti nell’individuazione di capri espiatori per i problemi che non si riescono a risolvere: alcuni, tragicamente, in carne ed ossa come i migranti, altri virtuali come le aziende sanitarie che già stavano funzionando e, con questa Legge, le UTI.

Che le UTI necessitassero di manutenzione come tutte le innovazioni coraggiose ma indispensabili, era questione evidente, ma ciò andava fatto solamente dopo adeguata sperimentazione. Tutte le innovazioni ed in particolare quelle relative alla governance sono tanto problematiche quanto urgenti. E saggezza istituzionale imporrebbe sia il rispetto per coloro che hanno ricoperto il nostro ruolo nel mandato precedente,sia ad una certa continuità. Qui assistiamo invece alla peggiore maleducazione legislativa. Sembra che la Giunta non si renda conto che lo sgretolamento delle UTI, condannando la Regione al ritorno alla governance polverizzata dei Comuni, è dannosa per tutti. Non darà risposte al bisogno di riforma degli Enti Locali che da decenni viene richiesta a gran voce nella nostra Regione senza distinzione di partito, e che è stata realizzata in quasi tutti i paesi europei avanzata. Ritarderà l’improcrastinabile programmazione multilivello e intercomunale. Quante devastazioni ambientali, quanto consumo di suolo, quanta progettazione conflittuale di aree artigianali realizzate a fianco di aree residenziali, quante duplicazioni, quale ipertrofia degli spazi commerciali ambientalmente insostenibili, sono state provocate dall’assenza di programmazione sia economica che urbanistica intercomunale? Senza un ragionamento integrato di area vasta, ma non di area vasta come quella provinciale, misure quali quelle sulla mobilità sostenibile, sul rumore, sulla qualità dell’aria non possono essere nemmeno inquadrate, figuriamoci se possono essere governate! L’assenza di qualsiasi progettazione sovracomunale nella pianificazione territoriale è dannosa anche per le attività produttive e costringe qualsiasi intrapresa economica a navigare tra una pluralità di idiosincrasie peculiari ai diversi enti locali. Da oltre un decennio, con il nome di multilevel governance, la programmazione intercomunale con il livello superiore viene discussa esperimentata in Europa, la nostra Regione con le Leggi n. 26/2014 e n. 18/2015 lo stava imparando a fare. Oggi quel processo virtuoso, seppure difficile, è gettato via!

Questa Legge prevede sì una “concertazione” (da notarsi che nemmeno dal punto di vista lessicale questa Giunta ha voluto mantenere quanto la Legge precedente chiamava“intesa”), ma perpetuando l’handicap che ha gravemente penalizzato nella Storia questa Regione: la frammentazione ovvero i campanili. Questi sono stati e continueranno ad essere le “palle al piede” dello sviluppo, obbligando il Friuli Venezia Giulia a rinunciare a priori al ruolo nazionale ed europeo che per struttura e dimensioni potrebbe giocare come regione pilota, come laboratorio o regione modello di innovazione ambientale, sociale e gestionale.  Quindi indietro tutta! Ma quale intesa sensata ci può essere quando si interroga il territorio con dei tête-à-tête fatti con i gelosi custodi dei campanili? Solamente la miopia.

Gli sgraziati vagiti che abbiamo sentito nella Legge di Stabilità circa un possibile, quanto costosissimo, ente intermedio, che sembrerebbe,contrariamente a quella che è l’opinione dell’Anci, addirittura di primo livello, è preoccupante perché sembra più fatto in ossequio ad una bandiera elettorale che a una lucidità programmatica. La confusione di idee si evidenzia anche dal fatto che sono stati istituite le poste finanziarie prima che ci siano discussi i progetti di fattibilità.

Questa legge indebolirà la nostra Regione certamente sul piano del prestigio, ma soprattutto sul piano programmatico.

Forse gli Enti Locali potranno essere anche stati abilmente illusi, perché le risorse sembrano essere piovute di più su quegli amministratori che non avevano l’igrometro ben tarato. Ma la soddisfazione sarà di breve durata. La capacità di spesa degli Enti Locali è diminuita drammaticamente a causa della carenza di personale anche perché ad essi vengono attribuiti in ogni occasione altri compiti dalla Regione, e certamente, questo volume di finanziamento non si vede come potrà essere mantenuto negli anni. Sarebbe importante valutare quante di queste risorse saranno effettivamente spese tra un anno. Piuttosto che abolire l’obbligo di strutturare la pianificazione territoriale attraverso le UTI, altre avrebbero dovute essere le riforme di sistema.

Manca completamente a questa legge qualunque tentativo di affrontare la vera crisi degli Enti Locali, che è stata la principale difficoltà per le UTI, ovvero la mancanza di personale!

Nel Capo II del Ddl 32 con uno sforzo di autentica archeologia legislativa si cerca di raccordare il meccanismo della concertazione. Ne valeva la pena, se si intende cambiare ancora tutto, di nuovo, tra un anno?

Passando al Capo III del Ddl 32 assistiamo alla conseguente retrodatazione dei meccanismi di gestione degli ambiti socio assistenziali al periodo pre-UTI. Notiamo qui, con grande sconcerto, che mettendo mano ad un tema così importante per la qualità della vita e il benessere dei nostri cittadini, ovvero l’ambito socio – assistenziale, non si è nemmeno accennato ai suoi compiti, ma solamente ai suoi aspetti organizzativi.Mi sarei aspettato degli articoli, ponderati sulla base dell’esperienza, che affrontassero le criticità dei Piani di Zona. Ma evidentemente a questa Giunta interessano solo gli aspetti burocratici. Però anche ciò è stato fatto male. Nell’introduzione dell’Assemblea dei Sindaci si rischia di azzerare i regolamenti di funzionamento che vigevano in passato, senza chiarire i meccanismi di governance di aspetti così cruciali, se non lasciandoli alla decisione di una maggioranza semplice. Si rischia di discriminare tra cittadini di seconda categoria e cittadini di prima categoria appartenenti ai comuni che hanno realizzato una maggioranza vincente. Se la logica è quella dell’interesse del proprio perimetro ristretto,gli esiti delle votazioni che porteranno ai nuovi regolamenti possono essere devastanti. Se non verrà accolto almeno l’emendamento che proporremo su questo punto sono seriamente preoccupato del funzionamento dei servizi sociali proprio nella aree più urbanizzate, che storicamente sono quelle che presentano le maggiori criticità dal punto di vista socio-economico

Procederò adesso a offrire alcune osservazioni sull’articolato.

Comma 1 dell’articolo 6 della Legge n.26/2014, così come modificato dal DDL 32.Il fatto stesso che si debba comunque ricorrere ad una norma statale, perché gestioni associate ed integrate sono comunque indispensabili per la funzionalità dei piccoli comuni, sta ad indicare che questa Legge di deregulation, alla fine abdica qualsiasi sua autonomia legislativa della Regione FVG. “Decidano gli altri” è il messaggio.

Comma 4 del succitato articolo. Operazioni dannose come l’Udinexit o le Utexit andrebbero intraprese solamente a seguito di un referendum consultivo con i cittadini. Questa maggioranza ha ribadito che perseguirà la partecipazione e la consultazione. Forse è il caso di non prendere decisioni verticistiche in chiave demolitiva senza andare ad ascoltare l’opinione dei cittadini. Verrà creato certamente uno stress normativo ai dipendenti e agli abitanti della Regione. Si verifichi se davvero vogliano tornare indietro per poi saltare ancora nel buio verso un altro sistema come quello per il quale sono state messe le poste finanziarie nella Legge di Stabilità. 

Articolo 2 del Ddl 32. Se vengono mantenute le Unioni Territoriali Intercomunali per la gestione dell’edilizia scolastica, allora il personale che prima lavorava presso la Provincia va comandato presso tali UTI. Mantenendo scollato il dimensionamento scolastico con l’edilizia si provocheranno inoltre ulteriori problemi al nostro eccellente sistema scolastico e di conseguenza ai nostri giovani.

Nell’articolo 9 del Ddl 32 che conferma e disciplina l’importante principio della concertazione,o equivalentemente dell’intesa, si ritiene opportuno ribadire che l’interlocuzione vada filtrata attraverso un coordinamento sovracomunale. Altrimenti la sua azione rischia di essere totalmente inefficace, se non addirittura contraddittoria. Non di interlocuzione bilaterale tra assessori e rappresentanti di enti locali c’è bisogno ma di programmazione integrata! È paradossale al riguardo che la finanziaria della scorsa settimana abbia dovuto aspettare gli emendamenti relativi alla concertazione fino all’extremis.

L’articolo 12 del Ddl 32 sulle norme transitorie non conferma tutti i progetti che erano stati definiti dalle precedenti intese. Vedo questo come un grave danno al principio della continuità amministrativa che comprometterà quanto di buono era stato fatto.

Gli articoli del Capo III del Ddl 32 costituiscono essenzialmente un ritorno alla situazione formalmente pre-UTI, che però era quella che sostanzialmente era anche in vigore nel periodo di funzionamento delle UTI. Inoltre, è curioso che all’Assemblea dei Sindaci del Servizio sociale dei Comuni venga dapprima attribuito il compito di promuovere l’istituzione di una Convenzione che disciplina il Servizio Sociale dei Comuni ed in un articolo successivo venga istituita l’Assemblea stessa. Forse questa è la prova che tali organismi esistevano già prima come entità. Come già indicato, vi sono seri rischi sul meccanismo di funzionamento di questa Assemblea. Invito pertanto la Giunta regionale a considerare le proposte che delineerò negli emendamenti.

In conclusione, senza tema di sembrare troppo severo, la mia valutazione su questa Legge è quella che è notevole solamente nell’essere capace di riassumere tutte le peggiori caratteristiche di una norma per la nostra Regione:

1) poco rispetto legislativo per quanto èstato lasciato in eredità da chi era venuto prima;
2) eliminazione di un progetto di sistema senza proporne un altro, obbligando aritornare al passato nell’attesa di una nuova riforma; e soprattutto
3) promozione del famigerato divide etimpera, nell’era della complessità.

SCARICA QUI IL DDL 32 

Discorso Honsell alla Cerimonia commemorativa Cividale del Friuli

Prendo oggi la parola con l’intensa emozione, che suscitano luoghi come questi, dove sono state perpetrate sofferenza e dolore atroci, ma dove sono state offerte le più convinte testimonianze degli alti ideali di democrazia, giustizia e libertà sulle quali si fonda la nostra Repubblica.

Dobbiamo ricordare e onorare sempre la memoria dei Martiri della Libertà, di quei partigiani della  Brigata Garibaldi Natisone, barbaramente fucilati dai militari fascisti repubblichini del 5° Reggimento di Difesa Territoriale, all’alba del 18 dicembre 1944 all’ingresso del campo sportivo di Cividale del Friuli: Rodolfo Bastiani di anni 32 da Cormons, Stojan Terpin di anni 19 da Vipolže (Slovenia), Anton Marinić di anni 18 da Dobrovo (Slovenia), Franc Pahor di anni 28 di Opatje Selo (Slovenia), Giacomo Impalà di anni 20 carabiniere da Santa Lucia del Mela (ME) , Aldo Failutti di anni 21 da Saciletto, Lodovico Puntin di anni 19 da Aquileia, nome di Battaglia “Sam” e Severino Rocchetto di anni 19 da Palazzolo dello Stella.

Furono condannati a morte il 17 dicembre 1944 dal Tribunale tedesco per la Sicurezza Pubblica di Trieste, dopo un processo farsa. Per la medesima criminale sentenza, sempre il 18 dicembre, vennero fucilati a Gemona anche Salvatore Caputo di anni 19 da Gradisca, Aldo Del Mestre di anni 20 da Tarcento, Natale Marangon di anni 21 da Portodole, Sereno Maraldo di anni 20 da Meduno, Giovanni Morassi di anni 21 e Angelo Sedita di anni 20.

Questi giovani erano semplici manovali, braccianti, operai, contadini che seppero trasformarsi in eroi scegliendo di combattere per un mondo migliore che non avevano mai potuto conoscere, ma solo immaginare profeticamente. Non sappiamo nemmeno con esattezza tutti i loro nomi, corrotti sin nel manifesto che ne proclama la sentenza, perché in queste terre la guerra e la pulizia etnica anti-slava fu combattuta dai fascisti anche con l’italianizzazione forzata dei nomi di luogo e di persona, oltre alla sciatteria dei criminali che li fucilarono come nel riportare l’età del carabiniere partigiano Impalà che venne fucilato a vent’anni invece che a trenta. Nel manifesto si legge infatti Pachorini invece di Pahor, Antonio Marini invece di Anton Marinić, Bontin invece di Puntin, Vipulzano invece di Vipolže, Casteldobra invece di Dobrovo. Tristemente, non abbiamo informazioni esatte su dove furono fucilati alcuni di questi miseri giovani, né dove esattamente si trovano i resti di ciascuno di loro.

Tale fu la ferocia e l’atrocità dei carnefici che per giorni interi i loro corpi furono lasciati esposti per suscitare paura e orrore presso le popolazioni.

Queste scarne informazioni e la loro giovanissima età basterebbero già quale commento per chi, come noi qui riuniti, sente forte un debito di riconoscenza nei loro confronti. L’elenco stesso dei loro nomi è già poesia!

Ma, chiedendo loro perdono spiritualmente, per la pochezza di quanto potrò rievocare delle loro meravigliose storie interrotte e perdute in questi luoghi, svolgerò qualche ulteriore riflessione, perché l’ingiustizia della loro morte prematura non sia stata inutile e possa sempre ispirarci.

La vendetta compiuta su questi partigiani fu così esplicita perché doveva essere “pubblica dimostrazione” della sorte di chi non collaborava, di chi non si omologava alla logica aberrante del fascismo e del nazismo. Non fu ritenuta infatti sufficientemente esplicita, da quei criminali, la diabolica attività che per oltre tre anni, certamente dall’ottobre del 1942 ai primi di maggio del 1945, si svolse presso la caserma “Principe di Piemonte”, poi caserma “Francescatto” intitolata a quel povero alpino che perse la vita per le assurde brame imperialiste italiane in Grecia ed Albania. La caserma dove ci troviamo fu infatti luogo di detenzione brutale, di tortura feroce e di spietato omicidio soprattutto per tutti i venti mesi nei quali queste terre fecero parte del Terzo Reich, con la denominazione di Operationszone Adriatisches Küstenland. In un crescendo di rastrellamenti di partigiani e di civili, di violenze inaudite, questa caserma e la sponda del Natisone qui vicina furono teatro di fucilazioni che andarono avanti sino agli ultimi giorni della guerra. Si stima che oltre un centinaio furono le vittime, uomini e donne, tutte degne del ricordo più glorioso, molte di queste qui furono private oltre che della giovinezza anche del nome, massacrate a fucilate e alle volte “finite” addirittura con grossi massi di pietra. La prima vittima registrata fu il partigiano Antonio Rieppi di 24 anni il 2 ottobre del 1943, l’ultima Aloisio Zorzi di anni 22 anni il 30 aprile del 1945, altri nomi, pochissimi rispetto al numero dei corpi, sono Angelo Alpassi, Guerrino Bini, Emilio Cicuttini, Mario De Faccio, Lorenzo Della Pietra, Alcide Deslizzi, Provino Flocco, Domenico Gerini, Eugenio Gregoratti, Carlo Gregoris, Michele Islochi, Antonio Martinelli, Valentino Menig, Bruno Passon, Maria Peressin, Polzkin Guglielmo, Paracino Erasmo, Italico Tempo. E centinaia di altri uomini e donne uscirono invece da questa caserma per essere deportati nei campi di sterminio, diabolicamente chiamati campi di lavoro, dove le calorie di cibo somministrato erano calcolate esattissimamente perché morissero entro i mesi pianificati, per lasciare spazio ad altri.

Qui, come altrove in quegli anni, non vi fu rispetto dei più fondamentali diritti umani né la parvenza di processi. “I loro corpi vennero sepolti sommariamente lungo uno dei muri perimetrali della caserma o semplicemente fatti sparire.” Riporta una testimonianza.

Dopo la Liberazione furono esumati un grande numero di resti, spesso difficili da ricomporre, forse centocinque salme di Partigiani, soldati e civili fucilati, pochissimi dei quali identificati. Si trovarono inoltre una ventina di militari tedeschi, calmucchi, turcomanni e cosacchi probabilmente disertori, catturati nel corso di rastrellamenti. Appartenevano ai battaglioni che si erano uniti ai nazisti contro l’esercito sovietico, espressione di quei nazionalismi guerrieri ancora forti allora negli stati dell’Unione Sovietica, che furono stanziati in queste terre divenute Kosakenland in seguito all’operazione Ataman.

Non si conosce, neppure in modo approssimativo, però il numero complessivo delle vittime, come non lo si conosce per la Risiera di San Sabba e per altre stragi perpetrate nella nostra regione, come quelle presso la Caserma Piave a Palmanova.

A questi luoghi, naturalmente meravigliosi sfregiati però dalla ferocia umana, oggi ci si riferisce come “Fosse del Natisone” e come disse emblematicamente uno degli oratori che hanno svolto l’orazione negli anni scorsi, costituiscono dei non-luoghi della memoria, perché oggi non presentano quasi più le tracce di quel tremendo passato.

I materiali storici sono limitatissimi, perché tutti gli archivi, ancorché compilati con diabolica meticolosità dai nazisti, furono da loro distrutti prima di abbandonare la caserma. E forse volutamente i documenti rimasti e quelli prodotti successivamente non furono mai troppo espliciti, visto l’alto numero di collaborazionisti, e delatori vigliacchi che resero possibili questi eccidi con tanta regolarità. Non per questo però si devono accettare le ricostruzioni storiche delle motivazioni di crimini come quello che oggi commemoriamo, che definiti semplicisticamente come rappresaglie, tanto hanno condizionato nel dopoguerra la lettura della Lotta di Liberazione.

Parlare di rappresaglia nel descrivere queste stragi a mio avviso è fuorviante.

Le forze naziste che amministravano, anche la giustizia, nell’Adriatisches Küstenland erano guidate infatti da figure come Odilo Lotario Globočnik che venivano da operazioni nei territori della Polonia orientale e della Bielorussia, dove i nazisti avevano perpetrato sistematicamente e ferocemente la guerra contro i civili. Globočnik aveva addirittura ultimato la costruzione e poi diretto i campi di sterminio di Sobibor e Treblinka.

Eccidi come questi non furono infatti rappresaglie, ma esempi di sistematica “guerra contro i civili”.

La guerra contro i civili fu una modalità di controllo del territorio tipica del fascismo prima e del nazismo poi. Nasceva proprio da quella distopia totalitaristica fondata su disvalori razziali e il disprezzo delle diversità e dei diritti umani. Vanno ricordate, per condannarle, le operazioni di pulizia etnica anti-slava e di italianizzazione forzata condotte in queste terre sin dagli anni ‘20 con la chiusura di tutte le scuole di insegnamento slovene e le associazioni culturali slovene, e successivamente negli anni ’30 le azioni militari italiane in Etiopia e in Spagna. Ricordo come, in qualità di Sindaco di Udine, città che aderisce all’associazione Mayors for Peace (Sindaci per la Pace) e il cui presidente è il Sindaco di Hiroshima, un giorno incontrai il suo vicepresidente. Era uno spagnolo, sindaco della città catalana di Granollers. Gli chiesi cosa l’avesse spinto ad un ruolo così preminente nell’associazione. Mi disse che la sua città subì uno dei primi bombardamenti contro obiettivi puramente civili della storia, quello compiuto dall’aviazione fascista che il 31 maggio del 1938 distrusse la città provocando oltre 250 morti. Ma non dobbiamo dimenticare inoltre le operazioni criminali contro i civili che i fascisti perpetrarono in Slovenia durante la guerra, culminati con i rastrellamenti di Lubiana e le successive deportazioni di civili nel 1942.

La feroce barbarie di vicende come quelle che commemoriamo oggi, derivano proprio da questa modalità nazi-fascista di controllo del territorio: “la guerra contro i civili”. Ma come può nascere una simile aberrazione?

Questa modalità nasce proprio dalla visione ideologica del nazi-fascismo, che si nutre e si irrobustisce attraverso l’educazione all’odio, alla discriminazione, al razzismo e costruisce la sua forza nell’accecamento del popolo attraverso l’individuazione di capri espiatori dei quali provare paura, alimentando gli istinti più bassi, impedendo qualsiasi ricorso al ragionamento. Il fascismo si concreta attraverso la promozione della paura, del rancore e della cattiveria contro i potenziali diversi.

Il 18 settembre 1938, ottant’anni fa, il totalitarismo fascista promulgò a Trieste, le leggi razziali. È uno dei capitoli più vergognosi della storia d’Italia, perché la reazione contraria dell’opinione pubblica italiana fu debolissima. Quella promulgazione invece riempì di folla Piazza Unità d’Italia a Trieste, e alimentò l’entusiasmo delle masse, che poterono finalmente sfogare il proprio antisemitismo, dopo anni di sistematica educazione all’odio e di annebbiamento dei valori civili, con cui il populismo fascista le aveva cementate.

Oggi queste leggi ci paiono odiose, ma ci dimentichiamo che sono state la naturale conclusione di un percorso di promozione di sottocultura, di disvalori, di falsità propagandate con lo scopo di creare muri, distanze, differenze tra la massa del “noi” e la massa degli “altri”. “Altri” che devono essere cacciati o eliminati, perché non hanno il “diritto alla nostra terra”. L’“altro” se è diverso per come parla, per come pensa, per come si comporta, non ha valore, non conta, è il nemico da eliminare, per il solo fatto che esiste. Da questa visione discendono tutti i crimini contro i civili commessi dai nazifascisti, dalle discriminazioni e i confinamenti, fino ai rastrellamenti, alle deportazioni e le esecuzioni sommarie che oggi ricordiamo.

Per questi motivi, che derivano da riflessioni di cosiddetta storia delle idee, ritengo che parlare di “rappresaglie in una guerra civile” riferendosi a fatti come quelli che oggi ricordiamo, sia banalizzante e fuorviante.

Dobbiamo invece stigmatizzare e imparare a riconoscere i segnali deboli di questo tipo di dinamiche sociali e smontarle sul nascere, perché il fascismo è sempre in agguato, pronto a ritrovare fascino tra chi governa, ma prima ancora tra chi è governato. Piero Gobetti nel 1922, all’indomani della Marcia su Roma disse “Questa non è una rivoluzione, ma una rivelazione degli antichi mali d’Italia”.

E con preoccupazione stiamo vivendo oggi una deriva morale a livello planetario, che rende possibile il risorgere di questi modelli di pensiero, ma che dobbiamo scongiurare.

Lo scorso 10 dicembre sono stati festeggiati i 70 anni della promulgazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che suggella valori quali le pari opportunità, le libertà, l’universalità dei servizi: non quindi diritti individuali se non nella misura nei quali possono, anzi devono, essere universali. Oggi assistiamo invece spesso a prepotenze, spacciate come diritti, che nascondono interessi particolari. Questi non sono diritti universali bensì proprio il loro opposto, sono bullismi individuali. Anche i fascisti e i mafiosi hanno una loro nozione di legalità, spesso imposta con ancora più determinazione di quelle negli stati democratici, ma è ingiusta perché non è universale. I diritti universali sono giusti proprio perché sono per tutti e di tutti, senza discriminazione.

Questa nostra “grande epoca” come beffardamente Karl Kraus chiamava già la sua un secolo fa, che potrebbe essere piena di opportunità, è invece devastata da crescenti disparità, che alla fine finiscono per penalizzare gli stessi privilegiati, oltre a schiacciare ingiustamente gli svantaggiati. Ma la risposta non può essere il populismo di una massa accecata e mistificata, che ha rinunciato al pensiero. L’equità è il primo valore antifascista, il benessere “o è per tutti oppure non è”. La diversità è un valore, anzi è forse il solo valore che permette di comprendere noi stessi, per confronto, e di crescere nella consapevolezza dello sterminato significato della parola “umanità”, immedesimandoci nello sguardo degli innumerevoli “altri”.

La risposta fascista è una non-risposta. Non è utopia, bensì la distopia dell’omologazione e della conseguente sopraffazione ed eliminazione dei diversi, dei più deboli e delle minoranze, fondata, anzi, sulla criminalizzazione dei diversi, sulla loro trasformazione in capri espiatori di tutti i nostri mali.

Per questi motivi, con viva preoccupazione assisto negli ultimi mesi, anche qui in Italia e in Regione al crescere di un pensiero che definirei di esclusione dell’altro invece che di un più solidale pensiero inclusivo. Il tema dei migranti e dei richiedenti asilo, va affrontato con una prospettiva completamente diversa da quella sin qui promossa da tante parti. Come Sindaco di Udine ogni 25 aprile invitavo i cittadini in Piazza Libertà a fare di tutto il pianeta la nostra patria, di fronte al dramma dei mutamenti climatici e del riscaldamento globale dovuto al consumo indiscriminato di risorse ambientali e fossili, che tante miserie e sofferenze provoca. Come sonnambuli invece abbiamo ormai superato il punto del non-ritorno, ma non vogliamo accettarne le conseguenze.

Oggi, purtroppo, in questa Regione tutti i cittadini sono dichiarati uguali, purché abbiano “più di 5 anni di residenza”. Misure come queste non placano il rancore, ma generano guerre tra poveri. I mutamenti demografici non devono trasformare l’Europa e l’Italia in una fortezza. Così come milioni di Italiani, come decine di milioni di europei, un secolo fa emigrarono dall’Europa, così oggi dobbiamo guardare a chi viene dall’Asia centrale, dal Vicino Oriente, dall’Africa come migranti provocati soprattutto dalle devastazioni ambientali figlie di un colonialismo che non si può cancellare e dai processi economici globali che ne sono gli eredi. Queste sono dinamiche delle quali siamo tutti corresponsabili per i nostri stili di vita. I migranti vanno visti invece come una grande opportunità di emancipazione e progresso per il nostro paese, se si promuove una politica di inclusione culturale. È notizia di qualche mese fa che quest’anno le ragazzine tredicenni in Italia sono tante quante le donne di 83 e che gli italiani che hanno meno di 30 anni sono tanti quanti quelli che ne hanno più di 60. Abbiamo bisogno degli immigrati! Chi viene nel nostro paese a cercare lavoro non va solamente sfruttato come badanti nelle case di riposo, come braccianti nei campi di pomodori, come operai nei cantieri va invece integrato con le sue famiglie, perché vuole contribuire alla crescita del nostro paese, che poi è sarà anche il suo.

Purtroppo, sia a livello regionale che a livello nazionale vedo invece prevalere lo spirito del muro che discrimina rispetto ai ponti del dialogo. Nella nostra regione la decisione che ha portato ad aumentare a 5 anni, rispetto ai precedenti 2, la possibilità di accedere a misure di sostegno sociale da parte dei nostri cittadini è un messaggio di intolleranza, solidificato in legge, tremendo. È un messaggio di chiusura e di rifiuto. La rapidità con la quale l’ente Regione ha voluto uscire dalle reti antidiscriminazione ed anti-omofobia è un altro messaggio di rifiuto dei diversi. Sono decisioni che vanno contro i diritti universali dell’uomo, così come contro l’Articolo 3 della Costituzione Italiana, che garantisce a tutti la rimozione degli ostacoli che permettono la piena realizzazione della propria personalità.

Non posso non discutere al riguardo anche il senso dell’ultimo decreto sicurezza approvato dal governo. Di un governo che ha trasformato le criticità dell’immigrazione nel suo più potente strumento di propaganda, promuovendo la paura e l’ostilità. Con questo decreto il governo ha eliminato gli strumenti di accoglienza inclusiva per privilegiare l’accoglienza concentrazionaria, rischiando, non so quanto consapevolmente, di esasperare le tensioni e la conflittualità nella gestione di tali dinamiche. Creerà molti nuovi irregolari che saranno lavoratori molto più facili da sfruttare, perché invisibili e senza alcun diritto. Questo decreto nega infatti ad alcune categorie di cittadini i principi di uguaglianza e solidarietà che sono alla base della nostra Costituzione sopprimendo il diritto all’iscrizione anagrafica, ed escludendoli dal servizio sanitario nazionale.

Questo decreto è repressivo di fatto anche nei confronti degli italiani, rendendo reato tante strategie di non violenza attiva, e di assembramento, imponendo i cosiddetti “daspo” e gli sgomberi indiscriminati.

Preoccupano le recenti manifestazioni di violenza fascista, come l’asporto delle pietre d’inciampo a Roma, e gli assalti di Forza Nuova alle sedi dell’ANPI, così come i tanti sdoganamenti politici di una destra che si muove sul filo del rasoio del divieto Costituzionale di apologia di fascismo. Sono figli della facilità con la quale anche ai massimi livelli politici ormai si predichi impuniti l’odio, dopo aver predicato la paura e il rancore. La cattiveria e la politica che la sfrutta, caratterizzano oggi il nostro paese, rileva il CENSIS. Esemplari per ferocia sono state nei mesi scorsi certe scelte di governo che hanno obbligato le navi che avevano raccolto naufraghi nel Mediterraneo a lunghe peregrinazioni nei nostri porti o nelle nostre acque nell’inutile tentativo di poterli sbarcare.

Se ci si abitua all’indifferenza di fronte alla barbarie, alla fine non ci si può non considerare dei complici.

Il significato più profondo che oggi assumono luoghi come le Fosse del Natisone è quello di simbolo della superiorità del pensiero resistenziale dei partigiani rispetto a quello fascista. Falsi storici quali la fossa di Premariacco fatti circolare per bilanciare l’orrore delle vere Fosse qui presso il Natisone, non devono distoglierci, vanno semplicemente condannati.

Come sindaco di Udine in passato, e oggi nel mio ruolo politico attuale, l’antifascismo è per me la stella polare, che mi guida e ha guidato in situazioni anche difficili nella difesa dei diritti umani come sono sanciti dalla nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Come nella vicenda di Eluana Englaro era in gioco l’Articolo 32 della Costituzione che sancisce il diritto di rifiutare le cure, quando queste non rispettano la persona umana, così l’Articolo 3 ci ha guidato sia nel dare pari dignità alle unioni tra cittadini dello stesso sesso e alle loro famiglie sia nel non discriminare tra cittadini sulla base degli anni di residenza. Infine, l’Articolo 10 deve essere posto alla base dell’accoglienza dei richiedenti asilo.

Ringrazio L’ANPI per l’incessante attività di diffusione culturale dei più alti valori di solidarietà e di democrazia. Solamente questa cultura antifascista può metterci al riparo dello (… e qui voglio usare una parola trovata nelle carte, che ho studiato per preparare la descrizione dei fatti di oggi, su un santino funebre composto dai familiari del partigiano  Guerrino Bini di anni 24 di Buttrio, fucilato sulle sponde del Natisone il 10 aprile 1945, perché mi sembra carica di senso nella sua semplicità, ma anche nella sua fermezza …) solamente, quindi, la cultura antifascista può metterci al riparo da quello sgoverno che speriamo non debba mai più guidare la nostra Patria.

Ringrazio ancora una volta gli otto partigiani e tutti gli altri centocinque, i cui corpi senza nomi giacciono così vicino a noi, ricordando le parole di Luciano Pradolin “Goffredo” di anni 23 da Tramonti di Sopra, fucilato nei pressi del cimitero di Udine il 10 febbraio 1945. Queste parole mi hanno fatto comprendere molto della storia del nostro paese. Così si rivolge alla sorella la notte prima della fucilazione: “Tutte le speranze sono svanite. Come vedi questa è la sorte di quelli che hanno un’idea. Ma è proprio fatale che tutti coloro che hanno un ideale debbano fare questa fine?” E si dà una risposta citando un verso della poesia di Giacomo Leopardi Nelle nozze della Sorella Paolina: “O miseri o codardi figlioli avrai, miseri eleggi! Immenso tra fortuna e valor dissidio pose il corrotto costume!”.

La loro morte non sarà stata inutile solamente se noi, come cittadini di questa Repubblica democratica, sapremo difendere gli ideali di solidarietà, di libertà di eguaglianza e di dialogo per cui i partigiani hanno dato la vita. Solamente se sapremo colmare il dissidio tra “fortuna” e “valor” contrastando il “corrotto costume”.

Viva la Resistenza!

Viva la Repubblica italiana nata da essa!

Vivano immortali gli 8 fucilati alle prime luci dell’alba del 18 dicembre 1944 presso il campo sportivo di Cividale del Friuli!