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Vicenda Aquarius: una sconfitta per la civiltà del nostro Paese

Provo vergogna per il fatto che il nostro Paese si sia rifiutato di accogliere la nave Aquarius con oltre 600 profughi. Il Ministro Salvini gongola e dichiara che la crudeltà paga.
Provo orrore e per la prima volta anche paura. La tradizione più nobile dell’Europa era quella dei santuari, che raccoglievano le persone più fragili. Dove sono questi santuari oggi?
Negli anni in cui sono stato sindaco non ho mai rifiutato di accogliere chi veniva a dine e più volte abbiamo accolto in città i richiedenti asilo che erano abbandonati e costretti a vivere in condizioni precarie in una galleria a Gorizia.
Udine fu città-santuario. Di questo sono orgoglioso.
La vicenda Aquarius è una sconfitta per la civiltà del nostro Paese.

2 giugno: viva la Repubblica!

Sono intervenuto alla bella iniziativa dell’Anpi per brindare alla Costituzione e alla Repubblica. Nel mio saluto ho cercato di ragionare proprio sul termine “Repubblica”, sottolineando come in Costituzione compare ben 95 volte in contesti diversi ma con un significato costante: quello di impegno concreto e profondo nel realizzare i principi fondamentali della carta costituzionale in capo a tutti noi cittadini, non solo alle istituzioni dello Stato.
Ognuno di noi – uomini e donne – compone “la Repubblica” e su ciascuno di noi pesa l’onore e l’onere di farla vivere, ogni giorno.

Tagliare i fondi all’accoglienza diffusa non è solo una cosa indegna, ma anche un errore

Qui sotto la lettera integrale inviata ai principali quotidiani regionali relativa al dibattito sull’accoglienza diffusa: queste riflessioni sono sottoscritte insieme a Gianfranco Schiavone (Presidente ICS – Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste).


Il presidente Fedriga ha annunciato la propria profonda contrarietà al sistema della “accoglienza diffusa” dei richiedenti asilo e l’intenzione di chiedere a Roma, attraverso una generalità di giunta, che questo modello cessi a favore dell’internamento di tutti i richiedenti asilo in strutture chiuse di grandi dimensioni (si suppone che ciò riguarderebbe anche le famiglie e i minori, che oggi costituiscono circa un terzo delle presenze).

Ci sono almeno quattro aspetti importanti che i cittadini debbono sapere in relazione a queste proposte di Fedriga, in modo che valutino con piena consapevolezza cosa si sta effettivamente annunciando.

1) L’accoglienza diffusa dei rifugiati è prevista da una legge nazionale che, con modifiche, è in vigore da molti anni e che ha come obiettivo proprio quello di superare l’approccio errato avuto dal nostro Paese ad inizio del decennio scorso (quando il numero dei richiedenti asilo era molto basso) di inviare le persone in grandi strutture nelle quali attendere l’esame della domanda di asilo. Oggi oltre 1000 comuni italiani sono coinvolti nell’accoglienza diffusa (anche nelle regioni governate dal centro-destra). Città della nostra regione come Trieste e Udine non sono quindi le uniche, ma solo quelle che hanno cercato di sviluppare maggiormente questo modello, con buoni risultati in termini di integrazione sociale e di sicurezza.

2) L’accoglienza diffusa è nata proprio per superare le concentrazioni di persone in grandi strutture, spesso isolate dal contesto sociale. Ove esse sono sorte (si pensi al caso di Gradisca, per non parlare dei molti “mostri” di cui è costellata l’Italia – Mineo – Cona- Bari Palese – Crotone etc) si è generata una seria ghettizzazione delle persone con enorme sperpero di denaro pubblico perché i percorsi di integrazione sociale di coloro che rimangono isolati, come chiunque può intuire, sono più lenti e difficili. Le grandi strutture hanno attratto altresì gli appetiti della malavita organizzata, come è stato nel caso di Mafia Capitale, per aggiudicarsi gli appalti (pasti, sorveglianza etc) mentre l’accoglienza diffusa coinvolge tanti piccoli operatori economici (ad esempio a Trieste e Udine sono oltre 200 gli affittuari delle case, ma si pensi anche ai piccoli negozi rionali per la rivendita degli alimentari etc) sostenendo l’economia locale. Inoltre al posto di guardiani e sorveglianti l’accoglienza diffusa punta a operatori sociali qualificati, in genere giovani laureati (ad esempio Trieste e Udine impiegano circa 300 persone) mediatori linguistici, insegnanti di italiano etc.

Tutti gli studi scientifici pongono l’accento sui seri rischi che nascono dal ricorso a strutture che isolano e separano i migranti dal resto della popolazione mettendo in guardia in particolare sul fatto che tutte le strutture ghettizzanti e isolate sono meno sicure e favoriscono la diffusione di atteggiamenti estremisti, a differenza di quanto accade nelle esperienze di accoglienza diffusa.

3) Forse Fedriga ritiene di evitare le problematiche di rapporto tra struttura e territorio prevedendo centri chiusi dai quali non è possibile uscire; si tratterebbe quindi di vere e proprie strutture concentrazionarie di internamento di persone, uomini, donne, bambini, provenienti dai più diversi paesi del mondo, di lingue, culture, religioni diverse (verrebbero internati anche i cristiani che pur non mancano tra i richiedenti asilo?) che condividono tra loro l’unica caratteristica di essere giunti nel nostro Paese per chiedere asilo. Questo scenario è totalmente al di fuori dell’ordinamento democratico della Repubblica Italiana che prevede la limitazione della libertà solo nei confronti di persone che hanno commesso seri reati penali o che, al più, prevede per tempi brevissimi delle forme di trattenimento amministrativo (di assai dubbia efficacia) per eseguire delle espulsioni già confermate dall’autorità giudiziaria.

La proposta di puntare su centri chiusi e controllati manifesta una visione autoritaria e intollerante della società e rischia di ricreare luoghi che con preoccupazione ricordano i “campi di concentramento” e i totalitarismi che hanno prodotto le catastrofi del ‘900.

4) Infine, anche volendo tacere su quanto sopra, il presidente Fedriga non dice dove nella sua visione dovrebbero sorgere i presunti luoghi di internamento dei richiedenti asilo. In un unico luogo nel quale vivrebbero migliaia di persone o invece in tanti luoghi, con un approccio, per così dire, di internamento diffuso? Vuole spiegare Fedriga come verrebbero scelti questi luoghi e come verrebbero presidiati? E infine chi ci vorrebbe vivere vicino?

Furio Honsell, Consigliere regionale Open Sinistra FVG

Gianfranco Schiavone, Presidente di ICS – Ufficio Rifugiati Onlus di Trieste

 

 

Sul futuro della città di Udine: qualche riflessione

Sottoscrivo pienamente gli interventi di Ndack Mbaye e di Giovanni Tomai ripresi dai rispettivi profili facebook e pubblicati oggi nel quotidiano del Messaggero Veneto di Udine (articolo di Giulia Zanello, si veda qui sotto).

Il centro-sinistra dovrà attrezzarsi per il futuro in modo più incisivo contro la retorica xenofoba in atto: a tal proposito rivendicare il valore civile delle politiche d’inclusione perseguite dalle nostre Giunte negli ultimi dieci anni può essere un buon punto di partenza.


Il post su Fb di una studentessa senegalese laureatasi in città.
Un commerciante: «Questo modo di fare uccide Udine»
«Essere sindaco di una città significa amministrarla nell’interesse della cittadinanza che la vive o che l’attraversa. Di tutta la cittadinanza, anche di quella che non ci piace».Si firma «un’altra senegalese che accetterebbe volentieri un biglietto, anche di sola andata. Tanto sono nata libera – aggiunge – a quanto pare Fontanini ha soldi da buttare e una vacanza nella prima delle mie tante case me la faccio volentieri. Poi torno a spese mie, tranquillo». Non sono parole tenere quelle di Ndack Mbaye, una ragazza da poco laureatasi all’università Udine, nei confronti del neoeletto primo cittadino Pietro Fontanini, in merito alle dichiarazioni comparse sulla stampa sul caso del ragazzo di colore al quale si è offerto di pagare il biglietto per rientrare al suo paese. «Essere sindaco di una città significa sapersi ergere al di sopra delle spinte emozionali e agire secondo una compostezza che non è solo rigore formale, ma soprattutto un’attitudine in grado di facilitare la predisposizione verso l’altro. Di qualsiasi altro, anche quello che non ci piace», continua la ragazza nel post pubblicato ieri sul profilo personale di Facebook, commentando che pur essendo solo da qualche giorno sindaco «già mette in scena arroganza, mancanza di rispetto, razzismo».Non è accettabile, a suo parere, «contattare un individuo, predisporgli un rimpatrio, banchettare sulla sua pelle. Se per lei lo è, almeno dovrebbe percepirne la volgarità – prosegue rivolgendosi allo stesso Fontanini -, accompagnata dalla boriosità di elemosinare qualche centinaio di euro a patto di arrogarsi il diritto di decidere anche che chi vuole rimandare a “casa” poi ci resti pure. Nel suo cantuccio, come la spazzatura appena ramazzata». «Bubba in realtà è Bouba, che è il soprannome di chi si chiama Boubacar, che si legge Bubacar, che è un nome di chi da qualche parte nel mondo, fuori dalla fortezza dell’occidente, ha da sempre un vero nome e una vera identità e una vera dignità». E proprio sulla mancanza di empatia e sulla scarsa predisposizione all’accoglienza è intervenuto nel dibattito sui social anche Giovanni Tomai, un commerciante che, dopo aver assistito a un controllo da parte dei vigili a un ragazzo di colore che da anni vende libri in piazza Duomo, ha deciso di esprimere il proprio pensiero sulla propria bacheca Facebook, in un post che in poche ore ha fatto il giro del web e anche di WhatsApp. Per un’ora ieri mattina «due auto dei vigili e una della polizia, per un totale di sei agenti» hanno stazionato in via Vittorio Veneto «tenendo in stato di fermo un ragazzo di colore che vende i libri. Avendo sia i documenti sia il permesso da ambulante in regola (ha esibito anche la partita Iva) – scrive il commerciante – alla fine gli è stato contestato, senza sanzione, il fatto di stare in mezzo alla strada. Tala, che è il suo nome, lo conosco e la sua occupazione principale, oltre ai libri, è quella di indicare gli stalli liberi a chi arriva in auto in piazza Duomo. A me è sempre sembrato un ottimo servizio». Morale della vicenda, scrive sempre Tomai, «al Tala i sei agenti, con estrema professionalità e cortesia, hanno fatto pelo e contropelo. Ai suoi “ma è la seconda volta oggi” hanno risposto “sono le regole”. Il Tala gli ha fatto notare che fino all’altro giorno quando passavano in piazza lo salutavano – aggiunge -, ma effettivamente hanno fatto il loro lavoro».Nel sottolineare il comportamento corretto delle forze dell’ordine che hanno eseguito il proprio dovere, Tomai contesta, però, la reazione di diversi passanti: uno che urla «fategli pulire il suo cacan», qualcuno che pronuncia frasi razziste e i molti che si sono fermati a fare foto sullo sfondo. «Tra di loro, la menzione d’onore va alla signora che si avvicina con il cellulare – racconta ancora Tomai -, Tala che si copre con le mani il viso pieno di umiliazione e lei che gli sghignazza in faccia: “cos’hai, paura che ti rubo l’anima?”». Per Tomai se questa, come ha detto il sindaco, è la “città della morte” è proprio questo modo di fare a uccidere la città.