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La riduzione dei parlamentari e l’orologiaio di Popper

Forse in Italia verrà cambiata la Costituzione: il numero dei parlamentari verrà ridotto del 37% rispetto all’attuale, ma ben pochi ne parlano. Questo colpisce perché risuona ancora nelle orecchie il clamore di quando ci fu l’ultimo referendum costituzionale che portò alle dimissioni del governo allora in carica. Tante voci, da tante parti politiche che oggi tacciono, criminalizzarono allora, chi dichiarò di votare sì. Oggi silenzio. Chi propone l’attuale riforma, i movimentisti dei 5 stelle, vuole coronare l’attacco a quella che chiamano la “casta” e pedissequamente quasi tutte le altre forze politiche li seguono. Ogni tanto si sente favoleggiare dei mitici risparmi che questa riforma comporterà. Ma non penso ci sia nulla di meno appropriato come giustificazione. Il solo Montecitorio pesa un miliardo circa sul bilancio annuale dello Stato, ma solamente 150 milioni sono appannaggio dei parlamentari in carica e dei loro assistenti. Si tratterebbe quindi solamente di una riduzione di spesa del 5% rispetto alla spesa attuale e non certamente del 40%. A parte la riduzione dei parlamentari, non sono infatti stati proposti altri tagli. Se davvero si voleva spendere di meno bastava ritoccare gli stipendi dei parlamentari lasciandone intatto il numero.Colpisce inoltre che la proposta di taglio in discussione non presenti giustificazione circa il criterio con il quale è stato individuato il numero. Forse si è voluto solamente raggiungere un numero tondo, come quando dal salumiere si compra il salame: mi tagli quattro etti per favore. «Uno vale uno» che viva in un’area svantaggiata o meno. Evidentemente chi propone questa modifica non si è mai veramente confrontato con la rappresentanza. Mi sembra gravissimo questo stato di cose. Oltre alla leggerezza politica e all’assenza di ragionamento, è grave l’effetto che produrrà sul percorso lungo il quale sembra avviata la nostra democrazia.Se la Costituzione italiana verrà così modificata, domani ci sarà una riduzione della rappresentanza in favore di meccanismi pseudodemocratici che riassumerei in quella frase, che tante volte abbiamo sentito proclamare trionfalisticamente nell’ultimo anno: «deciderà Rousseau!». È in gioco in questo voto l’esito dello scontro tra la “democrazia diretta” e la “democrazia rappresentativa”. Sotto questa luce va dunque valutata la modifica alla Costituzione in discussione.Viviamo in un’epoca strana nella quale viene chiamato “casta” chiunque sia esperto di qualcosa. Certamente «il sapere è potere» come diceva Francesco Bacone nel XVI secolo, e certamente c’è stato e forse sempre ci sarà chi se ne approfitterà, ma per scongiurarne gli abusi, non si deve celebrare l’ignoranza e la superficialità. mio avviso la democrazia rappresentativa è superiore a quella diretta per almeno quattro motivi.La democrazia diretta non permette il compromesso mentre questo è l’unica formula che assicuri il pluralismo, che poi altro non è che biodiversità politica. La democrazia digitale non potrà che sancire sempre la dittatura della maggioranza. Non assicura un margine di spazio per modulare le tesi. Sempre che poi non ci sia un uso distorto di piattaforme digitali private che, nemmeno in linea di principio permettono un riconteggio dei voti assolutamente sicuro. La democrazia rappresentativa vive per sua natura di coalizioni. Nessuno può invocare i pieni poteri, non lo può fare l’autorità, ma nemmeno il Popolo. Più numerosi sono i rappresentanti, più è ampia la tutela di tutti, perché è maggiore il margine di miglioramento attraverso il compromesso. E questo soprattutto se i rappresentanti sono liberi, quindi non hanno vincolo di mandato.La democrazia rappresentativa è l’unica che assicura l’innovazione mentre i populismi sono sempre reazionari e massimalisti. Il metodo scientifico, il migliore metodo che abbiamo, si basa invece su ripetuti tentativi ed errori. E sappiamo troppo bene di quanta innovazione ci sia bisogno oggi a fronte delle sfide globali sia demografiche che ambientali. La democrazia rappresentativa è l’unica che permette l’approfondimento della problematica. Il populismo si deve per forza basare sulla minima conoscenza condivisa. Diventare esperti è difficile e lo diventano in pochi. Nessuno può essere tuttologo, men che meno le masse.La democrazia rappresentativa mantiene la separazione tra il controllore, il popolo, e il controllato, i suoi rappresentanti. La democrazia diretta fa coincidere i due aspetti. La democrazia rappresentativa ha il pregio di non essere mai perfetta. E nemmeno di credere nell’ingenua utopia che ci sia il Governo perfetto. Credere di poter raggiungere la perfezione è dannoso, la verità assoluta non esiste nella scienza. La perfezione nelle forme di Governo coincide con la dittatura, l’utopia è una distopia. Ricordo qui l’argomento dell’orologiaio di Popper. Nei secoli del razionalismo, XVII e XVIII, l’immagine della precisione assoluta, del meccanismo perfetto era quella dell’orologio. Le sfere celesti si muovevano come nel più esatto degli strumenti. Ma se chiedete a un orologiaio come ottenga l’esattezza dei suoi meccanismi vi risponderà che la sua arte sta proprio nel non fare i meccanismi perfettamente precisi, perché altrimenti l’attrito non permetterebbe alle ruote di girare. Il nostro ideale di precisione si basa dunque proprio sull’imperfezione. Solamente la democrazia rappresentativa può essere tale, proprio perché non sarà mai perfetta, ma vi tenderà. Una democrazia che rivendicasse la sua perfezione sarebbe già una dittatura.Per questi motivi ridurre il numero di parlamentari senza criterio, se non quello banale che adoperiamo nell’acquisto dei salumi, è pericoloso.Il minor numero di rappresentanti darà forse un maggior potere al singolo parlamentare rispetto ad oggi, ma certamente i cittadini perderanno in rappresentatività, nell’illusione di una democrazia più diretta. Spero che qualcuno oggi se ne avveda per il bene della democrazia. E che, comunque vada, si inizi a riflettere sui necessari riequilibri.

Fonte: Messaggero Veneto | Autore: Furio Honsell

Sì a mozione su diritto a esistenza dei bambini nati in Italia da genitori irregolari

Ieri è stata approvata all’unanimità in Consiglio Regionale Fvg una mozione presentata da Furio Honsell di Open Sinistra Fvg volta a ristabilire il diritto all’esistenza dei bambini nati anche da genitori senza permesso di soggiorno sul territorio nazionale.

L’attuale legislazione è infatti ambigua: ufficialmente viene richiesto il permesso di soggiorno per registrare una nascita. Una circolare del Ministero precisa però che le registrazioni di nascita possono non richiederlo.

È motivo di soddisfazione che il Consiglio Regionale abbia fatte proprie tutte le premesse e il Presidente stesso si è impegnato a promuovere la piena applicazione della circolare. Rimane l’auspicio che il nuovo governo possa recepire tale circolare a livello di norma.

Sentenza su caso Cappato: nuovo precedente ma permane vuoto legislativo

La notizia di ieri relativa alla sentenza sul caso di Marco Cappato è molto positiva poiché dimostra come i concetti quali il rispetto della persona, delle sue volontà e della cd. autodeterminazione, che furono in precedenza evidenziati nella vicenda di Eluana Englaro, sono ancora condivisi.

Il concetto fondamentale dell’autodeterminazione è un concetto ampio, che riguarda la dignità della persona ed è un valore civile molto importante: a distanza di dieci anni dalla vicenda di Eluana abbiamo un altro momento moralizzatore per la nostra società, rappresentato dall’affermazione della non perseguibilità del suicidio assistito e del diritto all’autodeterminazione di una persona che conduce una vita che non ritiene più completa, solo parziale.

Per me è un grande risultato di civiltà che accomuna il nostro paese ad altri ma purtroppo, ad oggi, permane un vuoto normativo, che deve essere al più presto colmato con la predisposizione di una normativa chiara in questo senso: è grave che il Parlamento, su temi così generali che riguardano tutta la popolazione, scelga di non decidere delegando giudici. È un Parlamento che manca della sua funzione primaria di legiferare: in questo senso è una sconfitta per il nostro sistema democratico.

Speriamo che questo nuovo precedente, stabilito dalla Corte Costituzionale, possa rappresentare una pietra miliare, portando in maniera rapida alla realizzazione ed approvazione di una Legge su questo tema.

Sul referendum abrogativo della parte proporzionale del sistema elettorale

La maggioranza – su impulso pressante della Lega e del presidente Fedriga – ha deciso di imporre all’ordine del giorno l’adesione del nostro Consiglio Regionale FVG al referendum abrogativo della parte proporzionale del sistema elettorale.

“Pontida chiama, piazza Oberdan risponde”, potremmo dire. Senza un dibattito, senza una riflessione sull’impatto che una così radicale modifica della rappresentanza avrà sul territorio regionale, considerando anche la riduzione del numero dei parlamentari parimenti decisa senza un dialogo con le regioni e una riflessione sulle conseguenze per la qualità della democrazia di una così drastica compressione delle possibilità di accesso agli istituti di rappresentanza, che colpisce in particolare le regioni più piccole come la nostra.

La “regola delle regole” della democrazia non può essere adottata a colpi di referendum e senza una riflessione seria del suo impatto sul sistema. Scegliere tra “maggioritario” e “proporzionale” senza capire esattamente quale sia il modello di riferimento ultimo e come andrà a inserirsi nei più generali equilibri costituzionali è assurdo. Esistono democrazia proporzionali, come la Germania o la Spagna e democrazie maggioritarie come la Francia o il Regno Unito e la differenza tra i modelli è spesso data da un attento bilanciamento di fattori diversi, come la dimensione delle circoscrizioni, le modalità matematiche di riparto dei seggi, le soglie di sbarramento o la scelta tra turno unico e doppio turno.

Open Sinistra FVG non ha una posizione pregiudizialmente favorevole per un modello o per l’altro. Siamo a conoscenza di vizi e virtù di ciascuno di essi e non intendiamo essere comprimari in quello che sembra essere più un escamotage di marketing politico che una vero dibattito sulle radici della nostra democrazia. Per questa ragione non parteciperò al voto.

Foto: Giovanni Montenero