Archivio degli autori Furio Honsell

Approvata prima Legge in Italia con interventi di contrasto al fenomeno solitudine

“Da oggi 1° ottobre 2020, dopo due anni da quando avevamo presentato, come Open Sinistra FVG, una proposta di legge per contrastare il gravissimo problema della solitudine, la nostra Regione ha gli strumenti per mettere a fuoco e affrontare questa subdola emergenza. La solitudine non è una condizione di cui possono soffrire solamente gli anziani, ma sta emergendo in modo nascosto ma terribile in tutte le altre fasce di età. La solitudine non si vede, bisogna cercarla ed è l’origine di molti disagi ed emarginazioni che incidono profondamente sulla salute sia mentale che fisica dei cittadini.
La legge “Modifiche alla L.R. 14 novembre 2014, n. 22 (Promozione dell’invecchiamento attivo e modifiche all’articolo 9 della L.R. 15/2014 (in materia di protezione sociale)), concernenti gli interventi per il contrasto alla solitudine” è stata approvata all’unanimità e permetterà di sostenere quelle reti sociali che gli stili di vita contemporanei hanno lacerato. La nostra regione sarà così la prima in Italia a intervenire su questa problematica che si è ulteriormente aggravata dopo il confinamento e il distanziamento necessari fronteggiare l’epidemia del Covid-19.” ha dichiarato il Consigliere regionale Furio Honsell di Open Sinistra FVG.

Relazione Honsell sul DDL 105 in materia di lavoro

Il lavoro è il punto archimedeo della nostra società civile, così come è stata anche informata dalla Costituzione proprio nel suo Primo Articolo.  Pertanto è di vitale importanza una legge che vada ad intervenire sul tema del lavoro. Proprio per questo, il DDL 105 avrebbe necessitato di un approfondimento in Commissione lungo e dettagliato, promosso in modo proattivo dall’Assessore, volto a cogliere spunti e a ridiscutere proposte. Purtroppo non è stato così. Il dibattito è stato veloce ed è avvenuto in uno dei tanti momenti di ingorgo legislativo e nel cuore di un dibattito sul Referendum Costituzionale.  Si sarebbe dovuto e potuto valorizzare molto di più il ruolo della Commissione nella fase istruttoria di elaborazione della legge. Ma in linea con l’atmosfera che ha determinato anche l’esito del recente referendum, che ha di fatto deprezzato il ruolo del Parlamento, i momenti di dibattito ormai vengono giudicati mere perdite di tempo. A mio avviso, ancora una volta si è perduta un’occasione di condivisione delle conoscenze e delle valutazioni, e questo porta a lavori d’aula condotti verso la contrapposizione invece che verso la collaborazione.

Una legge sul lavoro sarebbe cruciale già in tempi ordinari – ma lo è molto di più nei tempi straordinari nei quali stiamo vivendo quando si stanno sovrapponendo due rivoluzioni, due cambiamenti di paradigma nel lavoro: da un lato la globalizzazione, dall’altro la smaterializzazione dei luoghi di lavoro, delle sue modalità e degli stili di vita a seguito dell’emergenza epidemiologica.

Alla crisi economica derivante dalla globalizzazione e dagli opportunismi non arginati della delocalizzazione (si pensi alle crisi aziendali Safilo, DM Elektron, Sertubi, Eaton, … soltanto per citarne alcune, ben lontane dall’aver avuto un esito dignitoso per molti lavoratori) si sono aggiunte negli ultimi tempi quelle derivanti dalla rivoluzione generata dal Covid e quella del lavoro cosiddetto agile. Stiamo assistendo inoltre a dinamiche sociali di perdita progressiva da parte di tanti cittadini della capacità di elaborare un “progetto di vita” alternativo a quelli del secolo scorso. Dinamica che genera il preoccupante fenomeno della crescita del numero degli inattivi. Dato che è stato anche confermato alcuni mesi fa nell’imbarazzante DEFR, drammaticamente privo di tutta la parte programmatica, presentato dalla Giunta a luglio.

In questo contesto socio-economico difficilmente decifrabile e stabilizzabile una legge sul lavoro avrebbe pertanto dovuto essere un momento qualificante.

Così non è stato invece. E oggi siamo a discutere essenzialmente una legge di manutenzione. Tutti i sottotitoli degli articoli iniziano infatti con le parole: modifica o inserimento ovvero sostituzione di un articolo già esistente. Con ciò non voglio dire che moltissimi degli aggiornamenti proposti ad una legge di 15 anni fa non siano opportuni, pregevoli ed evidentemente funzionali alle esigenze della burocrazia amministrativa. Ma senza voler suscitare il risentimento dell’assessore che giustamente è orgogliosa del proprio lavoro e delle sue metafore sul “buio e la luce” non posso non rilevare che parole e concetti quali ad esempio: inattivi o lavoratori intermittenti della cultura, che sono indicatrici di fenomeni che abbiamo conosciuto recentemente come molto problematici e che vanno considerati, non mi sembra compaiano mai. E anche i concetti di lavoro agile e telelavoro, per non dire smart working, che sono la nuova frontiera della smaterializzazione del rapporto lavoratore-impresa e dunque quella dove è più a rischio la qualità del lavoro, sono articolate pochissimo nel DDL 105 e appaiono marginali. Troppo spesso sembra di essere davanti ad un articolato che più che governare l’esistente sembra quasi limitarsi a prenderne atto, rendendo quindi evidente l’inutilità di una azione politica che non ha ambizione di modificare lo stato delle cose.

Personalmente manifesto invece una certa preoccupazione per i lavoratori.

Anche l’introduzione del cosiddetto “principio di condizionalità” a cui sono subordinate le politiche attive e passive, nell’Art. 44, mi preoccupa. Oltre a non essere ben specificato, lasciando prefigurare situazioni di aut aut che potrebbero non tenere conto di alcune caratteristiche personali (ingenerando quindi nuovi inattivi), è rivolto esclusivamente contro i lavoratori. Non è applicato invece in modo simmetrico a imprese e datori di lavoro rispetto agli incentivi previsti da numerosi articoli. Nulla è subordinato ad accordi che non prevedano delocalizzazioni attraverso aziende del gruppo, o che prevedano tutele forti per i lavoratori.

A mio avviso è in atto un rischio concreto che possano nascere nuove modalità di sfruttamento dei lavoratori attraverso il lavoro agile, ovvero “da casa”, tutto a vantaggio dei datori di lavoro. Questi ultimi vedono diminuire i costi di produzione legati agli affitti e alla gestione dei luoghi di lavoro, agli orari, alle mense. Chi assicurerà che le postazioni di lavoro a casa siano rispettose di tutti i criteri di qualità che le norme sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro ci avevano assicurato. È vero che tante aziende sono state e sono tutt’ora in serie difficoltà a causa dei mutati stili di vita causati dall’emergenza epidemiologica, che purtroppo è ancora in corso, ma non si deve permettere che a pagare i conti per i minori utili siano le condizioni di lavoro dei lavoratori. È nostro dovere impedire che l’emergenza diventi un alibi per precarizzare e svilire ulteriormente il lavoro e i lavoratori.

La concertazione certamente va condotta coinvolgendo tutte le possibili organizzazioni dei lavoratori e tutti i sindacati. Ma un accordo aziendale senza la garanzia che sia conforme a contratti nazionali tutelati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative espone la Regione al rischio di finanziare modalità non sufficientemente certificate, che potrebbero nascondere forme di dumping salariale se non addirittura a nuove forme di delocalizzazione ancor più subdole.

Il mondo del lavoro è cambiato, e sottolineo “mondo” piuttosto che mercato del lavoro, perché se il lavoro si riducesse ad un mercato, ciò avrebbe conseguenze troppo pesanti anche sulla Costituzione. Non vorrei vivere infatti in una Repubblica fondata sul mercato, anche se spesso mi sembra già di farlo.

Insomma, potremmo dire che il mondo del lavoro è cambiato radicalmente ma non così la legge sul lavoro. Non me ne voglia assessore, ma non ci sfidi a proporle emendamenti radicali da presentare in 3 minuti in aula, volti ad arricchire la sua legge. Ci proveremo, ma non sarà possibile un’operazione radicale. Avremmo dovuto ragionare in modo più lento in commissione per ricomprendere le criticità che ho esposto fino a qui.

Come è accaduto in altre occasioni per molte altre leggi, penso alla sanità, anche questa legge è una legge che rimanda nelle sue concrete applicazioni a regolamenti. Per esempio agli Artt. 23, 33, 42, 45. Ci si riferisce a “regolamenti” spesso al plurale o a linee guida o a indicatori (come ad esempio all’Art. 30), non si specificano le griglie all’interno delle quali esplicitare quel principio di condizionalità fra politiche attive e politiche passive nell’Art. 44 (e ci sarebbe da discutere anche sul fra, perché non credo che sottintenda l’alternativa tra le due). Immagino che i regolamenti saranno tutti sottoposti al vaglio del Consiglio o alla Commissione regionale per il lavoro di cui all’Art. 5, ma non è proprio così esplicito, e si rischia così di lasciare tutta la forza di questa legge in mano alla burocrazia organizzativa.

La legge contiene numerosissimi ritocchi lessicali e linguistici, tipici delle leggi di manutenzione. Alcune scelte appaiono in verità un po’ curiose come l’emendamento che trasforma situazioni in ipotesi, vocabolo che nell’uso non può non suscitare nella formulazione dell’articolo una connotazione di discutibile discrezionalità.

Come ho già detto la legge contiene certamente moltissime migliorie pregevoli rispetto al testo precedente, che comunque rimane ancora valido. Mi riferisco qui alle norme sulla responsabilità sociale di impresa, ai ritocchi che permettono inserimenti lavorativi di giovani anche in formazione e le lavoratrici. Vi è indubbiamente attenzione alle tipologie di lavoratori più fragili. Apprezzo, anche se forse è ancora tutto da definire, l’Art. 6 sulla concertazione sociale e plaudo all’Art. 22 nel comma relativo al passaggio generazionale delle competenze la cui mancanza sta penalizzando pesantemente soprattutto la PA.

Passo infine ad elencare alcuni temi e aspetti più o meno specifici che dovrebbero essere presi in considerazione più approfonditamente e sui quali intenderemo proporre degli emendamenti.

  • Non si fa alcun cenno nell’innovazione organizzativa a incentivi per il software libero. Anche se in base al DL. 179/2016 di modifica del Codice dell’Amministrazione Digitale vanno fatte analisi comparative, il software libero è utilizzato pochissimo. Usare software proprietario espone a seri rischi di sicurezza utenti e aziende e mantiene il nostro paese in una condizione di colonialismo digitale che tarpa le ali ai nostri giovani e alle nostre imprese. Molto importanti potrebbero essere i nuovi sbocchi occupazionali qualora la regione imponesse o incentivasse in modo premiale l’uso di software libero nell’innovazione organizzativa prevista all’Art. 35 e seguenti.
  • Come ho già detto il cosiddetto lavoro agile è trattato solamente superficialmente. Ci preoccupa l’Art. 35 in quanto non è chiaro a favore di chi sia il benessere organizzativo né esattamente quale fine abbia l’innovazione organizzativa, che la Regione intende sostenere. Ci si ricordi ad esempio, che l’INAIL non ha ancora elaborato protocolli per tutte le forma di lavoro agile.
  • Ancora una volta la Regione discrimina tra i lavoratori, in base agli anni di residenza, senza tenere conto di chi, pur non essendo residente è stato comunque occupato in regione e per fortuna le altre regioni non legiferano secondo i principi della nostra, altrimenti sarebbero i nostri lavoratori impiegati in contesti extraregionali a rimetterci. Questa logica si collega all’assenza di qualsiasi azione proattiva verso una politica del lavoro che richiami in regione nuovi lavoratori. L’intera legge è per così dire di tipo autarchico. In questa direzione va anche l’eliminazione del comma i) nell’Art. 21 della L.R. 18.
  • Questa considerazione ci porta ad affrontare le tematiche europee. È vero che il DDL 105 parla di lavoro transfrontaliero, e di internazionalizzazione del lavoro, nonché del raccordo con EURES (Artt. 14 e 41) dai sistemi informativi ai servizi per l’impiego, ma manca un nesso forte con qualsiasi strategia europea di ampio respiro. L’Europa compare soprattutto come erogatore di fondi non come punto di riferimento strategico. La nostra regione può crescere solamente aprendosi all’Europa.
  • Infine gli incentivi di cui agli articoli 17, 18, 21, 43, ad esempio, dovrebbero offrire maggiori garanzie nel sostenere azioni collaudate e discusse con le organizzazioni sindacali più rappresentative evitando sperimentalismi.
  • Non si fa alcun cenno ai gravi temi di sostenibilità ambientale che si sarebbero potuti collegare secondo il principio della condizionalità agli articoli sugli incentivi
  • Scarsamente approfondito appare il raccordo con il mondo della scuola, università, ricerca e formazione. Interessante l’art. 36 ma modesto nella portata.

In conclusione questa Legge presenta molti aspetti pregevoli ma sembra poco consapevole dei rischi e degli effetti rimbalzo negativi che sono particolarmente frequenti nei momenti rivoluzionari, nei quali cambiano i paradigmi.

Pertanto manterremmo un voto non favorevole qualora non vengano accolti gli emendamenti che proporremo. Rimangono infatti ancora inevase quelle domande che negli ultimi anni e soprattutto nell’ultimi mesi ci siamo posti: come tutelare i lavoratori nel cosiddetto “lavoro agile” fino a quando non si fa chiarezza su chi sia avvantaggiato da tale agilità? Chi cercherà di reinserire gli inattivi e come? Come si promuoverà la cultura di cui abbiamo tanto bisogno se non si tutelano i lavoratori intermittenti? Come rendere attrattiva la nostra regione per i lavoratori?

Testo DDL 105 fuoriuscito dalla Commissione

Relazione Honsell sul DDL 97 – Rendiconto per l’esercizio finanziario 2019

A distanza di due mesi dall’approvazione del DDL 99 di Assestamento di Bilancio, che già utilizzò una parte di quell’avanzo di amministrazione relativo al 2019 che verrà però certificato solamente dalla presente Legge, approviamo il Rendiconto per il 2019. Anzi, grazie ad un emendamento in “zona cesarini” approviamo anche il Rendiconto consolidato per l’esercizio finanziario 2019 (art. 1, comma 17). Il perché di queste tempistiche non è stato dichiarato.

Il lavoro delle commissioni si è svolto in un silenzio assordante, con una rapidità da centometristi. La Giunta e la maggioranza hanno evidentemente considerato tutto questo, niente di più di un noioso adempimento. Forse c’è stato qualche commento, accompagnato da un sorriso più o meno ironico, sul fatto che i pochi dati che originariamente comparivano nella manciata di articoli di questo DDL erano tutti sbagliati, in quanto diversi da quelli che compaiono nei tabulati accompagnatori. Numeri che sono stati armonizzati comunque da altrettanti secchi emendamenti. Alla domanda naturale che è stata posta: “Ma il giudizio di parifica redatto dalla Sezione di Controllo della Corte dei Conti del FVG ha considerato dunque i dati sbagliati?”. È stata data la risposta che “la Corte dei Conti controlla solo i tabulati, e quelli erano giusti”, dando da intendere che la prima versione di questa Legge non l’avevano letta nemmeno loro. Insomma, il DDL 97 era un mero esercizio di cut and paste non andato a buon fine.

Certamente allegati, dati, tabelle abbondano. Proprio la mole dei materiali offerti rende infatti piuttosto arduo analizzare che cosa sia veramente successo nel 2019 al di là dei numeri. Ma ritengo che non per questo ci si debba rinunciare e rubricare questo passaggio legislativo come una mera scocciatura burocratica, come è avvenuto sino a qui.

Per questo motivo ho deciso, cosa forse irrituale, di fare una relazione di minoranza da un’angolazione diversa.

Cercherò pertanto di dare il mio contributo in questa sede rifacendomi a 3 principi che ho imparato, occupandomi soprattutto negli ultimi anni di big-data, data mining e  machine learning e dei loro usi. Non dobbiamo infatti fermarci alla mera acquisizione del fatto che le risultanze dell’evoluzione odierna della partita doppia ci assicuri una coerenza dei dati. Forse questo bastava ai tempi di Luca Pacioli. Oggi dobbiamo e possiamo andare oltre ai numeri.

  1. I dati contano ma non raccontano.

Questa bella paronomasia sintetizza proprio ciò che rischia di mancare nel dibattito di quest’aula. Solamente il Relatore della Corte dei Conti ha cercato fino ad oggi di raccontare una lettura dei dati, cercando di far parlare i numeri. Ha analizzato nel merito soprattutto i due aspetti qualificanti dell’autonomia di questa nostra Regione ovvero Sanità ed Enti Locali.

Penso sia corretto riflettere su tale documento perché come recita verbatim “Questo giudizio, i cui esiti sono istituzionalmente destinati al Consiglio Regionale, (dunque siamo noi i destinatari) si pone come momento conclusivo del percorso della specifica attività di sezione, avvalendosi di altri controlli contemplati dalle norme di attuazione dello statuto, quale la DAS (déclaration d’assurance, ovvero dell’audit finanziariosi noti che si ricorre o al francese o all’inglese per specificare l’obiettivo, l’italiano pare difettare del concetto) con cui è stata attestata l’affidabilità del conto e la legittimità e regolarità delle relative operazioni e la relazione sulle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali.” Più avanti il relatore della Corte dichiara che il controllo DAS, che la Sezione è tenuta a rilasciare al Consiglio “ha registrato un numero di irregolarità (22) che pare eccessivo rispetto all’esiguo numero delle singole operazioni controllate (69)” ma aggiunge poi che “le irregolarità non si contano ma si pesano” e alcune sono di modesta entità ma il rapporto di quasi un terzo tra operazioni controllate e irregolarità riscontrate “depone però per un carattere potenzialmente diffuso di un’area di imprecisione contabile e amministrativa espressa anche dall’aumento dei debiti fuori bilancio […]”. Il relatore evidenzia però anche irregolarità di più ampia rilevanza che, anche dopo la riapprovazione del conto economico da parte della Giunta che ha emendato la prima versione, non hanno trovato “del tutto esaustiva soluzione” soprattutto per quanto riguarda la “non totale affidabilità dello stato patrimoniale”. Sono punti che andrebbero approfonditi senza richiedere una sollecitazione esplicita, ma comunque non ritengo che siano i punti più importanti oggi, perché la Sezione della Corte ha comunque “dichiarato al Consiglio Regionale l’affidabilità (ad eccezione di quella del capitolo 719) del rendiconto e la regolarità e la legittimità delle relative operazioni.”

Oggi è più importante richiamare altre considerazioni del Relatore espresse nel suo giudizio, che a mio avviso sono da far tremare le vene e i polsi, per usare l’endiadi dantesca. Penso che affermazioni come quelle contenute a pagina 14 e segg. e a pagina 484 e segg. dovrebbero ricevere una risposta approfondita che non c’è stata. Per questo ritengo che, per lo meno oggi, vadano stigmatizzate perché possano ispirare la nostra azione e quella della Giunta in futuro. Il relatore dichiara che l’assetto istituzionale del sistema sanitario regionale che è stato interessato dalla L.R. 27/2018 e dalla 22/2019 “non risulta completamente allineato a quanto previsto dalla normativa nazionale” (in particolare al Patto per la salute) “in ordine all’obbligatorietà di strutture multiprofessionali complesse di ampie dimensioni”, ovvero in tema di strutturazione dei servizi territoriali. E ancora: “Questa distonia si inserisce in un sistema territoriale sanitario di cui l’attività di controllo svolta negli ultimi anni ha evidenziato diffuse e gravi carenze di governance, unite a inadeguati livelli di disponibilità di servizi informatici aziendali”, “strumento necessario per uno svolgimento efficiente ed efficace delle attività. Ribadisce poi che contrariamente a quanto prevedeva la normativa nazionale già dal 1992 circa l’attivazione di Aggregazioni Funzionali Territoriali, e della Medicina di Gruppo Integrata, in regione ci si muova ancora “nelle more dell’evoluzione organizzativa verso tali forme di “microteam” multiprofessionali”. E questo è evidenziato in grassetto. Il relatore collega con preoccupazione tutto ciò alla LR 22/2019 nella quale si dichiara che certe forme organizzative multiprofessionali e interdisciplinari si “possono” solamente prevedere sottintendendo che invece si “dovrebbero attivare”. Insomma il relatore sottolinea che i centri di assistenza primaria o strutturazioni analoghe sono richiesti obbligatoriamente dalla normativa nazionale, ma non sono ancora riconoscibili in regione. Rileva infatti una “sostanziale debolezza delle reti territoriali per far fronte alle esigenze della popolazione in condizioni di non autosufficienza o di quella per la quale la gravità delle condizioni o la cronicizzazione delle malattie richiederebbe una assistenza al di fuori delle strutture di ricovero.” Il relatore prosegue indicando come “tale debolezza abbia fortemente pesato sulla gestione dell’emergenza sanitaria” e continua dicendo: “Lo stretto collegamento tra efficienza ed efficacia della rete sanitaria dei servizi territoriali e gestione della crisi sanitaria si è ben appalesato nel corso di questi mesi”.

Questo è indubbiamente un campanello di allarme che il Consiglio dovrebbe ascoltare al fine di svolgere un’azione efficace nel ripensare la sanità territoriale e distrettuale che risulta dalla recente normativa regionale.

Ritengo poi molto importanti tutte le considerazioni svolte dal Relatore nelle pagine da 558 a 573. In particolare dovrebbe ricevere una risposta, almeno per me che ha svolto per dieci anni un’importante azione a livello europeo nella rete dell’OMS Healthy Cities il seguente rilievo: “I dati appena esaminati espongono anche per l’anno 2019 un andamento generalmente non favorevole del rapporto di composizione dei tre livelli di assistenza: prevenzione, distrettuale e ospedaliera”. In particolare “la quota di costi destinati alla prevenzione appare diminuita anche rispetto al già pesantemente negativo andamento degli anni precedenti”. “Si evidenzia con forza, in particolare, il costante mancato rispetto dell’obbligo di destinazione al livello di assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro (la prevenzione), il cui valore da raggiungersi è pari al 5% del totale”. Infatti, dalle tabelle emerge che sia solamente del 3,04%. Il relatore conclude questa parte dicendo che “gli atti di programmazione generale ribadiscono con forza la necessità di diminuire la spesa erogata per i servizi ospedalieri a favore di una maggior spesa per servizi territoriali e di prevenzione, indirizzo strategico di gestione che, anche alla luce degli esiti di cura evidenziati nella gestione sanitaria della pandemia appena verificatisi, appare conservare tutta la sua importanza.”

Circa le considerazioni del Relatore circa gli Enti Locali, per mancanza di tempo riporto solamente due considerazioni. Il Relatore sottolinea “le insidie che si possono annidare in una attuazione non ispirata da regole e principi efficacemente preordinati alla sana gestione finanziaria da parte di tutti gli enti locali” e ancora “Le prerogative di autonomia impongono alla Regione di assicurare che l’esercizio delle funzioni e dei servizi comunali avvenga con contenuti validi non solo in termini di economicità ma soprattutto in termini di un’efficienza e di un’efficacia che risultino omogenee su tutto il territorio regionale”. In sintesi non basta erogare denaro per accontentare richieste di singoli comuni, ma sviluppare una concertazione di area medio-vasta che permetta di assicurare efficienza ed efficacia dell’azione.

Sono fiducioso che nel corso del dibattito verranno chiariti molti aspetti ma dovrebbero rimanere come tema da approfondire in quest’aula le raccomandazioni sull’assetto della sanità non ospedaliera e su una maggiore omogeneità nella gestione dei servizi da parte degli enti locali, che presumibilmente si può ottenere non rinunciando da parte della Regione a prevedere forme organizzative quali quelle oggi abolite.

  1. Non limitarsi a “contare quanto vuoi misurare” ma “misura ciò che conta”.

Voglio richiamare questo importante chiasmo a fronte dell’autentica “pandemia di tabelle e allegati” che accompagnano queste legge. Ovvero: “Quanto si discute di risultati, nell’attività di un Consiglio?” Certamente abbiamo a disposizione le cosiddette clausole valutative in alcune leggi e possiamo ascoltiamo le relazioni del Comitato per la Legislazione, il Controllo e la Valutazione. Ma un Conto Consuntivo dovrebbe fornire quegli indicatori di risultato o di impatto che soli permettono di valutare se l’azione è efficace, e non limitarsi meramente a indicatori finanziari di input output. Ad esempio, in commissione ho chiesto da dove derivasse l’avanzo di amministrazione, ovvero quale percentuale delle poste era stata impegnata. Ma è chiaro che questi conti sono valutazioni meramente contabili, che nulla dicono su ciò che conta veramente. Ci vorrebbe un osservatorio che misurasse il cosiddetto liquidato e non il mero impegnato, o perlomeno misurasse i tempi di latenza. Così come c’è un bilancio triennale ci dovrebbe essere un consuntivo triennale, che permetta di capire che cos’è che non sta andando a buon fine o viene rallentato. Ricorsi, sospensive, riserve frenano, ma ci sfugge qualsiasi forma di controllo per capire se quanto disponiamo venga realizzato.

  1. Ciò che si misura conta.

Misurare un determinante, un indicatore, o un indice di sintesi significa anche indicare cosa si ritiene importante. In Commissione ho chiesto se finalmente sia stato fatto un bilancio energetico della Regione che permetta di capire a quanto ammontano le emissioni di CO2 da fonti fossili, la nostra cosiddetta impronta carbonica; avrei voluto chiedere anche se si misurano certi indicatori di salute e di disuguaglianza. È chiaro che sotto il profilo ambientale e climatico viviamo ormai in un’emergenza permanente, ma non c’è modo di ricavare rapidamente il dato del “costo dei mutamenti climatici” ad esempio. Ci comportiamo come nella sala da pranzo del Titanic: il pianeta va a fondo ma si continua a ballare come se niente fosse al tempo di valzer e foxtrot.

Infine sarebbe importante avere un bilancio consolidato che non si limitasse, ad un ennesimo allegato sul quale non c’è stato tempo di riflettere approvato con un emendamento in extremis, ma permettesse invece di valutare l’azione sotto profili sociali e di genere. Misurare certi dati è di per sé, al di là dei valori numerici ottenuti, un atto politico che indica cosa veramente conti per noi.

Testo Disegno di Legge n. 97 fuoriuscito dalla Commissione

Relazione Honsell sul DDL 91 abbinato in discussione con Pdl 11 su Solitudine

“Solitudine”

Ma le mie urla
feriscono
come fulmini
la campana fioca
del cielo

Sprofondano
Impaurite

Santa Maria La Longa, 26 gennaio 1917

Questa Legge ricomprende sofferenze assordanti come quelle espresse nei versi di Ungaretti sulla solitudine violenta della guerra, o quelle silenziose dei manicomi e dei borghi abbandonati a cui hanno dato voce il poeta di Andreis, Federico Tavan (2007) in “Spopolamento”:

Uchì
murî
al éis deventât
un mout
come un altre
par tirâ indenant

e il nostro poeta Pierluigi Cappello, nell’incipit di “Sonno estivo” (2010):

Seduti, le gambe allungate nel silenzio,
uno a uno ci siamo portati i nostri giorni
solitudine con solitudine, impazienza e attesa

[…]

Non siamo tutti poeti però, e la solitudine è sofferenza, non musa, per i più…

A oltre due anni da quando presentammo nell’agosto del 2018, la Proposta di Legge 11 per prevenire e contrastare il fenomeno della solitudine, finalmente siamo ad un passo per arricchire il corpus normativo della Regione Friuli Venezia Giulia con un testo che ne delinea le problematicità e traccia direttive su come prevedere azioni concrete di contrasto.

Questa legge è il frutto della mediazione tra la PDL 11 e il DDL presentato dalla Giunta all’inizio di quest’anno, avvenuta in vari incontri quest’estate. Ritengo questa sintesi molto soddisfacente e per questo ringrazio i miei collaboratori di segreteria, dott. Cucchini, che mi aiutò a preparare il testo iniziale, lo staff del gruppo che mi ha assistito nel percorso  (con il capo segreteria Vanin e gli addetti di segreteria Albrizio e Reverdito), i Colleghi Consiglieri della III Commissione, soprattutto Liguori, Santoro e Ussai, che firmarono con me la PDL 11, il Presidente della III Commissione Moras e il suo staff tecnico diretto dal dott. Negro, e l’Assessore Riccardi e i suoi collaboratori guidati dalla dott.ssa Zamaro.

È paradossale che in un pianeta nel quale la popolazione sta per raggiungere gli 8 miliardi e nel quale il sovraffollamento è un’esperienza sempre più frequente, emerga invece drammatica la sofferenza della solitudine. La solitudine è diffusa non solamente presso gli anziani ma anche presso i giovani e giovanissimi. Tremende sono poi le nuove solitudini urbane, quelle della marginalizzazione e della dissociazione, o quelle dello spopolamento nelle aree montane. Preoccupante è la solitudine digitale e quella degli espulsi dal mondo del lavoro che spinge loro verso l’inattività. Le reti sociali e con esse, spesso, anche le alleanze familiari sono lacerate e non riescono più a mitigare queste sofferenze contemporanee che si sono manifestate con ancora maggiore evidenza durante il confinamento, dovuto all’emergenza epidemiologica e al distanziamento che ne è stata l’evoluzione.

Questa legge dà una prima risposta a queste sofferenze.

Nei suoi primi articoli assegna con chiarezza alla Regione il compito di affrontare e contrastare ogni esclusione, disconnessione e marginalizzazione sociale, senza distinzione di età, favorendo lo sviluppo di reti di comunità e di cittadinanza attiva e sostenendo azioni di sussidiarietà orizzontale volte a perseguire il benessere relazionale. Delineati gli obiettivi, la legge si sviluppa prevedendo interventi sia diretti sia con il coinvolgimento del terzo settore, del sistema scolastico, dell’università e della ricerca, e degli enti locali.

Certamente, avremmo preferito mantenere separate le due leggi, ovvero la L.R. 22/2014, la prima in Italia sull’Invecchiamento attivo, e questa sul contrasto alla solitudine. I destinatari di quest’ultima, come specificato nell’art. 4, sono drammaticamente molti di più di quelli della prima. Avremmo preferito che il tema del contrasto alla solitudine fosse anche inserito nella L.R. 6 del 2006 Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, e in particolare in un nuovo comma nel TITOLO III, che descrive le aree di intervento dei Piani di Zona, e si fossero utilizzati gli osservatori previsti nell’art. 26. Avremmo preferito inserire, altrimenti, un osservatorio in questa stessa legge che potesse rilevare le buone pratiche nonché i bisogni. Infine, avremmo preferito che venissero esplicitate misure specifiche per contrastare quelle tipologie di solitudine derivanti dall’isolamento forzato a seguito di emergenze epidemiologiche, come quella del COVID-19. Fosse stato così, questa legge sarebbe stata la prima ad affrontare tali problematiche e avrebbe costituito un punto di riferimento per futuri atti normativi. Così purtroppo non è stato.

Vista però la serietà della problematica e l’urgenza di affrontare la solitudine, abbiamo scelto di non dividere o frenare il Consiglio Regionale su un tema cruciale, ma contribuire costruttivamente soprattutto negli articoli dall’2 al 5, su finalità ed obiettivi, sui quelli riguardanti i destinatari e sulla partecipazione e sul coinvolgimento degli altri attori di rete. Siamo così riusciti ad arrivare prima ad un atto concreto e condiviso.

La nostra Proposta di Legge 11 nasceva nell’ambito della preparazione all’importante Convegno Internazionale dell’IFOTES International Federation of Telephone Emergency Services che poi si svolse con successo nel 2019 a Udine e che ha visto oltre un migliaio di rappresentanti dei telefoni amici di tutta Europa ritrovarsi per discutere il tema di come contrastare anche a livello normativo i flagelli della solitudine e del suicidio che ne costituisce lo sbocco più drammatico. In qualità di Sindaco di Udine avevo promosso tale convegno, ma a causa della fine del mandato non ho potuto partecipare. Riconosco però che l’Assessore Regionale ha colto l’importanza dell’evento e gli do atto di aver raccolto il testimone e portato a conclusione questo importante iter legislativo.

L’aver fuso questo DDL alla L.R. 22/2014 non dovrebbe compromettere né il funzionamento delle norme precedenti né quelle aggiuntive. Anzi il complesso delle norme generali comuni mi sembra che irrobustisca entrambi gli articolati specifici. Certamente l’efficacia di questa legge dipenderà dalle risorse che le verranno attribuite nelle prossime Leggi di Stabilità o di assestamento. Spero che la sensibilità maturata presso tutti i livelli di governo regionale, nelle discussioni in III Commissione, al CAL e nelle audizioni, che hanno visto indistintamente un generale apprezzamento per le leggi in questione, possa concretarsi in risposte adeguate alla vastità dei bisogni. Auspico pertanto che risorse vengano aggiunte e non certo sottratte alla legge precedente.

Auspico inoltre che tale sensibilità possa anche informare coloro che redigeranno i nuovi Piani di Zona ai sensi della L.R. 6/2006. Infine spero che l’assenza dell’osservatorio possa essere compensata dall’ampiezza e cura dei bandi previsti da questa norma per il sostegno ad iniziative, in modo che le buone pratiche e i bisogni possano emergere in sede di presentazione delle domande.

In conclusione esprimo la soddisfazione per questa legge e anche l’orgoglio, come cittadino di questa Regione, per il fatto che il FVG è la prima regione in Italia che affronti con una norma specifica il tema della solitudine, senza ipocrisie.

Penso che i tre poeti citati all’inizio ci avrebbero approvati!

Qui il testo del DDL 91 approvato in Commissione | Qui il testo della PDL 11