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27/01: incontro su sanità a Gorizia

Vi segnalo l’appuntamento sul tema della salute e della sanità che si terrà a Gorizia, in Sala Dora Bassi (Via Garibaldi 7), lunedì 27 gennaio, alle ore 18 e vedrà oltre al mio intervento anche quello del Consigliere regionale del Gruppo PD FVG Diego Moretti. Modera Franco Perazza, responsabile sanità segreteria provinciale PD.

L’incontro è aperto al pubblico ed è organizzato dal Gruppo consiliare regionale misto e dal gruppo consiliare regionale del PD FVG.

Relazione minoranza strumenti stabilità

Premessa a questa relazione di minoranza è la relazione di minoranza al Documento di Economia e Finanza 2020 da me presentata. A tale DEFR è andato il mio voto negativo a nome di OPEN-Sinistra FVG.

La presente, articolata, collezione di strumenti di pianificazione economico-finanziaria regionale, infatti, soffre di tutti i difetti del DEFR 2020. In primo luogo si rileva l’assenza di una strategia organica degna di un traguardo temporale quale meriterebbe il 2020 e che solamente una leadership, ispirata al non lasciare nessuno indietro e alla tutela delle generazioni future, potrebbe fornire. Appare una scoraggiante mancanza di idee innovative concrete nei settori cruciali del lavoro e della formazione. Il rapporto con il territorio e i suoi enti esponenziali è improntato ad un approccio frammentario e frammentato a causa della polverizzazione provocata dalla visione della Legge 71/2019 relativa agli Enti Locali, costruita non sulla messa a fattore comune di progetti, ma all’insegna di un divide et impera territoriale. Permane una pluralità irritante di interventi ideologici in ultima analisi utili solamente a veicolare paura tra i cittadini e a venire citati per alimentare quella narrativa mediatica che si è dimostrata vincente in campagna elettorale (steward privati per la sicurezza urbana e sistemi di videosorveglianza). Insomma, per il prossimo triennio si pianifica un pericoloso business as usual, una colpevole ordinaria amministrazione, quando invece sia a livello globale che soprattutto regionale si stanno profilando criticità gravissime. A livello locale sono drammatici l’esodo di popolazione attiva e qualificata dal FVG, la perdita di competitività industriale a fronte di un numero sempre crescente di crisi industriali, lo sgretolamento di un ruolo internazionale della nostra regione che sembrava consolidato, un rischio idrogeologico sempre più reale e incombente, la debolezza dei sistemi infrastrutturali da quello telematico a quello ferroviario (non si pianificano né il FTTH in tutte le zone, né quel 5G fondamentale per l’industria 4.0, né reti di metropolitane leggere per la mobilità sostenibile), e permane un’arretratezza nel sistema energetico regionale privo di qualsiasi impegno sul phasing-out del carbone e di altri combustibili fossili pesantemente climalteranti, come il BTZ. Le criticità globali legate ai mutamenti climatici antropogenici obbligherebbero invece a sviluppare con coraggio e autonomia politiche di transizione energetica ambiziose.

Questa Regione, a causa di atteggiamenti politici molto discutibili, oggi non ha più un ruolo significativo a livello europeo in nessun settore, sebbene disponga di assets immateriali straordinari. Anche la sua reputazione nazionale ormai è miseramente ridotta a quella di flebile cassa di risonanza di certi slogan e di certe battaglie ideologiche leghiste, relegata ad un patetico ruolo di comparsa su un palcoscenico più grande di lei, come abbiamo visto in occasione della micro-manifestazione in occasione della discussione del DDL n. 70 sul MES. Ben altro era il ruolo del FVG durante la Presidenza Illy oppure quelle successive. Ciò che più turba è l’assenza di segnali politici che stimolino un risveglio, un Rinascimento del Friuli Venezia Giulia. Registriamo solamente segnali di regresso. Niente più manifestazioni quali Innovaction ma solamente kermesse enogastronomiche. Le piccole dimensioni del Friuli Venezia Giulia, compensate però da una diversità culturale e ambientale straordinaria, sono il nostro patrimonio di maggiore valore, e pretenderebbero invece, come ebbi modo di sottolineare esattamente un anno fa, che la guida politica del FVG si adoperasse perché questa regione diventi un laboratorio di politiche ambientali, di politiche di partecipazione, di politiche di multilevel governance, di politiche di salute-in-tutta-la-società, di prevenzione e resilienza. Si vorrebbe vedere, per così dire, uno slancio politico per guidarla a diventare una Regione del Sole, nel segno di Campanella, di una Nuova Atlantide nello spirito di Tommaso Moro. La chiusura culturale promossa da questa maggioranza invece, conduce all’isolamento, e il volare basso, radente, che interpreta, conduce solamente a replicare comportamenti stereotipati che ci porteranno come sleepwalkers, ovvero come sonnambuli, al precipizio.

Clamoroso è che l’unico luogo in tutta questa massa di strumenti di programmazione politico-finanziaria nel quale si faccia menzione degli epocali 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’ONU, sia all’Art. 2 del DDL 73 commi 3 e 4 sotto forma di un progetto di promozione turistico-artistica decentrata, dal titolo infelice ai limiti del grottesco “I favolosi ONU 17”. Signori qui non c’è da ammiccare a Kurosawa, il tempo per decidere di agire è scaduto!

E dire che la Regione gode di un periodo florido, di benessere finanziario, se paragoniamo la situazione delle entrate a quella di qualche anno fa. Certamente le cosiddette risorse manovrabili si aggirano ancora solamente intorno al 3-4%, ovvero qualche centinaia di milioni, essendo il bilancio piuttosto rigido, ma l’aumento del PIL regionale, il contributo della compartecipazione con lo Stato leggermente migliorato e le disponibilità ulteriori derivanti dalla chiusura di mutui che non sono stati rinnovati negli anni scorsi, permetterebbero di fare scelte innovative significative. Invece, solo per citare tre voci che reputo inaccettabili, ecco:

  1. parecchie decine di milioni investite in telecamere, e sistemi di video sorveglianza che finirebbero per coprire in modo voyeristico una pluralità di luoghi dagli asili-nido alle strutture per anziani,
  2. ecco milioni assegnati per le ronde urbane, concetto per il quale si preferisce usare l’ipocrita eufemismo anglofilo di steward (si veda il DDL n. 73 Art. 9), estese financo al Comune di Monfalcone,
  3. nonché il solito miope fiume di denaro (DDL n. 73 Art. 5) erogato per la “benzina agevolata”, il cui meccanismo di rendicontazione viene addirittura agevolato ulteriormente (comma 12). Quest’ultimo intervento rappresenta il più esecrabile contributo all’incentivazione dell’uso di combustibili fossili che si possa pianificare, e a livello di organismi internazionali appartiene a quel tipo di contributi che si raccomanda di abbandonare per primi.

Il complesso di strumenti pianificatori in discussione presenta poi dei gravi difetti che potrebbero apparire meramente metodologici, ma in realtà nascondono una grave abdicazione da parte dell’attuale Giunta di alcuni principi di leadership politica e quindi di responsabilità amministrativa.

Ne segnalo anche qui 3. Il primo riguarda l’inserimento nella collegata alla finanziaria, ovvero nel DDL n. 72 Art. 4 ai Commi 13-19, di una modifica alle procedure di VIA. Questo è l’ennesimo esempio della rinuncia di questa Giunta regionale a guidare concretamente i processi pianificatori, e quindi parallelamente, a esporsi nel promuovere autentiche consultazioni con il territorio. Nella legge sugli enti locali, in quella sulla sanità e oggi con questi articoli, la politica regionale mostra di non volersi assumere nessuna responsabilità amministrativa, delega invece questa ad altri soggetti, per lo più amministrativo-gestionali, per mettersi al riparo da scelte che possono essere scomode, ma che è suo preciso dovere guidare. Come più volte si è detto, questo comportamento non corrisponde allo spirito della Bassanini, perché qui oltre a non gestire l’esecutività, la giunta non predispone momenti qualificanti di indirizzo e soprattutto di controllo. La politica anche se non gestisce l’esecutività deve comunque assumere responsabilità nell’amministrazione. La politica a costo di svolgere alle volte controlli routinari, non deve mai abbandonare il timone. Un intervento normativo sulle procedure di VIA avrebbe dovuto essere condotto non, quasi di rapina, in una collegata alla finanziaria, ma attraverso una legge specifica, che permettesse di svolgere audizioni, approfondimenti, e favorisse un’elaborazione consiliare. Avrebbe dovuto andare nella direzione esattamente opposta a quella che viene sancita da questi commi. Già oggi la politica è esautorata dalla scelta dello screening,ovvero di quali progetti assoggettare al VIA e quali no. Semmai si sarebbe dovuto riassumere questa responsabilità e invece, nei commi (18 e 19), addirittura si dispone l’esclusione automatica di certe campagne di recupero rifiuti alla verifica di assoggettabilità a VIA. Sarebbe opportuno, invece, prevedere In tutti i casi un momento di controllo, o per lo meno di presa d’atto politico, nella gestione del territorio. Oggi anche l’ultimo baluardo, che era ormai ridotto all’approvazione del mero atto finale del procedimento, viene abbattuto e non vi è più nessuna assunzione di responsabilità politica. Certamente la trasparenza è data dalla pubblicità di tutte le fasi e alla possibilità di fare osservazioni, ma è davvero sufficiente mettere su un sito i documenti per assicurare la partecipazione e il controllo? Non era forse il caso di ridiscutere tutto il percorso della partecipazione pubblica, compresi eventuali automatismi? Comunque legiferare su questi temi in una legge collegata, dimostra non solamente che si ritiene secondario il tema del controllo ambientale e paesaggistico del territorio, ma si conculca pure quel momento legislativo solamente nel quale è possibile verificare una tantum se una nuova modalità non nasconda insidie.

Il secondo esempio riguarda il DDL n. 72 Art. 6 che sancisce di fatto la chiusura dell’ERPAC così come l’abbiamo conosciuto e apprezzato, trasferendone risorse e competenze anche alla rete MESS, che di fatto viene avviata con questa norma. Questo articolo fa il paio con quelli del medesimo articolo nel DDL 73 Commi 13-19, che di fatto rivoluzionano la gestione e le dinamiche degli Ecomusei. Quanto si è detto, relativamente ai commi che modificano le procedure di VIA, sull’inopportunità di emanare norme specifiche di settore in una legge finanziaria, potrebbe ripetersi qui. Questi commetti, di fatto eliminano surrettiziamente articoli molto significativi come l’Art. 4 della L.R. 10/2006 che istituiva e disciplinava il ruolo del comitato tecnico-scientifico. Ancora una volta si rinuncia ad un confronto in audizione con gli operatori e i portatori di interesse. Ovviamente gli attuali Ecomusei hanno espresso favore per tali norme, perché il bilancio è pingue e loro non sono finanziariamente penalizzati. Ma questo è fatto contingente. Non si può eliminare il momento del contraddittorio assorbendo tutto in un atto di Giunta.

La gestione del rapporto con gli Enti Locali brilla per estemporaneità, improvvisazione e assenza di strategia integrata. Ciò è gravissimo in questa epoca che necessiterebbe invece di visioni solidali e di sistema. Non ci sono in questi strumenti di pianificazione indirizzi agli enti locali verso l’innovazione e la sostenibilità. Miserrimo il contributo a favore dell’elaborazione del Piano Attuativo per l’Energia Sostenibile e il Clima, (PAESC) nel DDL n. 73, art. 4 comma 55, cap. 8429/S, meri 60 mila complessivi (20 mila per ciascuno degli anni dal 2020 al 2022). Contrariamente a quanto era stato richiesto dal CAL, non si prevede di fare interventi che promuovano la cultura della pianificazione di area vasta e la Giunta si ostina nella posizione iconoclasta nei confronti delle UTI, non finanziando le Comunità di Comuni che ne sono la trasformazione, quasi a volerne scoraggiare la nascita e il proseguimento. Abbiamo fatto pericolosi passi indietro da quando si operava una concertazione multi-livello tra Regione ed aree vaste. Nel nome di una ben strana accezione di “libertà” si è preferito dare sfogo alle vocazioni più individualistiche dei Comuni, costringendoci ad assistere al penoso pellegrinaggio avvenuto nei giorni delle Commissioni, di Sindaci in attesa, afflosciati sui divanetti del primo piano di questo edificio, in attesa di venir ricevuti dal Principe e dalla sua corte, per conoscere l’entità dell’obolo graziosamente concesso. Quale differenza di clima rispetto ai tempi delle UTI, quando da pari a pari in un rapporto multilivello, si negoziava il futuro di sviluppo di aree vaste.

Sul piano delle attività produttive (DDL n. 72, art. 2 comma 8) si assiste ad un ulteriore intervento per puntellare il PISUS, ma questo faticoso trascinamento di progetti che ci ha già fatto perdere contributi europei e nazionali, non risolve quella che è la vera criticità della difficoltà di progettazione.  Mancano infatti interventi strategici volti a promuovere una cultura della progettualità e della pianificazione sia europea che nazionale.  Si sarebbe dovuto intervenire su questa mancanza di cultura del risultato, fornendo risorse in termini di competenze progettuali. Altrimenti, anche i pur lodevoli interventi dell’DDL n. 73, art. 5 comma 46 di attribuzione di risorse per la messa a norma di edifici pubblici e in particolare scolastici, rischiano di essere inutili. La cultura dei fondi di rotazione per la progettazione andrebbe promossa e andrebbe fornita assistenza ai Comuni, che dopo l’azzeramento delle UTI sono abbandonati a loro stessi, ciascuno solitario a confrontarsi con l’impossibilità di progettare per mancanza di adeguate risorse di personale.

Preoccupa inoltre un atteggiamento decisamente passivo da parte della Regione nel rapporto con RFI. La situazione è veramente molto critica per quanto concerne la mobilità ferroviaria. Binari andrebbero raddoppiati in tante tratte, frequenze andrebbero aumentate. Si riscontrano quotidianamente gravi difficoltà lungo le linee, ma purtroppo la Giunta non sembra occuparsene o non sembra capace di un’autorevole interlocuzione con RFI. C’è il rischio che si rimanga per tutto il prossimo decennio nell’attuale stato di arretratezza.

Concludo con una nota di apprezzamento e una raccomandazione. L’apprezzamento va al progetto di una Newco promossa da Friulia per il sostegno agli investimenti delle PMI, DDL n. 72 art. 1. Idea brillante ma ancora assolutamente embrionale. Vedremo se dalla crisalide emergerà una farfalla. La raccomandazione riguarda un sostegno equilibrato all’alta formazione e all’Università, dunque con modalità più strategiche di quelle espresse nell’infelice Tabella G relativa all’art. 7 del DDL n. 73.

Con il consueto spirito collaborativo OPEN-Sinistra FVG presenterà numerosi emendamenti, ma l’impressione negativa di una pianificazione colpevolmente ordinaria ci costringe a dare un parere negativo a tutti questi strumenti economici finanziari.

I testi fuoriusciti dalla Commissione preposta possono essere visualizzati qui.

Relazione minoranza su Nota Aggiornamento DEFR 2020

Il 2020 ha rappresentato sin dai primi anni duemila una data simbolica, a livello di organismi internazionali, alla quale fu traguardato il raggiungimento di numerosi obiettivi di sostenibilità e sviluppo. Ne ricordo uno soltanto, emblematico, relativo agli enti locali: lo European Covenant of Mayors for Energy and Climate Change 202020 (Patto dei Sindaci). Stabiliva di raggiungere entro il 2020 la riduzione del 20% delle emissioni di CO2 da fonti combustibili fossili, la riduzione del 20% del fabbisogno energetico mediante efficientamento e l’approvvigionamento di una quota del 20% di tale fabbisogno da fonti rinnovabili, rispetto alla baseline del 2006. Furono migliaia i Sindaci che firmarono tale patto. Lo firmai per Udine nel 2009, e con orgoglio posso dire che gli obiettivi del Piano Attuativo del Covenant furono la stella polare di molte azioni nel mio doppio mandato di sindaco. A titolo di cronaca gli obiettivi a Udine furono sostanzialmente raggiunti nel 2018.

E questo 2020 così significativo è infine arrivato. E quindi il documento programmatico per eccellenza, il Documento di Economia e Finanze Regionale 2020 avrebbe dovuto rifletterne il carattere simbolico, di spartiacque, proponendo un’analisi critica di quanto è avvenuto nei primi decenni di questo secolo, e impegnandosi con slancio sui nuovi obiettivi, sia a breve che a lungo termine, da raggiungere. Avrebbe dovuto per lo meno essere segnato dalla drammatica presa di coscienza che quella belle époque di liberismo e consumismo trionfanti, di quella “fine della storia” per dirla con le parole di Fukuyama, che aveva illuso con il crollo del muro di Berlino e lo scampato rischio atomico della guerra fredda, era definitivamente tramontata.

Il DEFR 2020 doveva incominciare a fare i conti con le nuove sfide della contemporaneità: i mutamenti climatici antropogenici, la globalizzazione, con l’inquietudine oggi emergente di un altro tipo di fine, non quella della storia questa volta, ma quella dell’era del sapiens, dell’antropocene. L’era di questa tragica specie che dopo aver innescato la VIa estinzione di massa incomincia a rendersi conto che la propria inevitabile estinzione avverrà per sua stessa mano.

Invece, questo DEFR 2020 è un documento che nello stile e nei contenuti è business as usual, come ormai viene definito l’atteggiamento da sonnambuli che caratterizza tante politiche di pianificazione contemporanee.

Questo non vuol dire che il testo non sia migliorato rispetto a quello dello scorso anno, che dava invece un’irritante impressione di essere un mero adempimento legislativo. In questo DEFR manca però l’anima e la strategia, manca una rotta, manca la cifra di una leadership politica responsabile. E la leadership, aldilà di scelte economico-finanziarie, è fondamentale perché le azioni delle Missioni descritte non rimangano mere sfilze di pixel neri, registrati in un file che si lascia troppo facilmente editare. Mancano in questo DEFR gli slanci ma non vi è traccia neppure di qualche indicatore di risultato o di impatto, e dei relativi obiettivi. Compaiono solamente indicatori finanziari di input. Manca soprattutto la pianificazione e la tempistica della strategia per realizzare quanto delineato. Non ci sono priorità e anche i progetti più ambiziosi sono espressi con piattezza burocratica. Forse si è superata la logica dell’adempimento, che caratterizzò l’anno passato, ma la logica del risultato deve ancora arrivare.

Soprattutto è assente qualsiasi correlazione tra le criticità emerse dall’analisi di contesto e le azioni proposte. In particolare non si fa menzione al raccordo delle Missioni con i 17 SDG, gli obiettivi dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, o con gli obiettivi strategici 2030 dell’UE.

In particolare colpisce la povertà di idee innovative concrete nei settori del lavoro e dello sviluppo economico, ovvero della Missione 14 Sviluppo economico e competitività e Missione 15 Politiche per il lavoro e la formazione professionale. Debolissime le azioni per promuovere l’innovazione e il trasferimento tecnologico che, grazie alla presenza di numerosi enti di ricerca nella nostra regione, dovrebbe fare del Friuli Venezia Giulia una Regione modello.

La Missione 17 Energia e diversificazione delle fonti energetiche è quella decisamente più carente e deludente se, anche solo per un attimo, ci si rendesse conto che l’anno di riferimento è il 2020. Non vi è nulla di propositivo che inneschi un’azione di sistema. Non ci sono programmi di phasing out di tecnologie fortemente climalteranti come l’uso di caldaie a gasolio o BTZ. Non si prevede di smettere i contributi per combustibili fossili, non si gettano le basi per lo sviluppo di una cultura di comunità di energia fatta di prosumers energetici.

Misera è l’ambizione della Missione 19 Relazioni Internazionali per una Regione che invece può acquistare significati solamente se valorizza la propria posizione di chiave di volta tra culture diverse. Le figure di spicco della Regione non sembrano avere ruoli internazionali di rilievo, come invece avveniva in passato, e neppure li cercano.

La Missione 13 Tutela della Salute fa ben poco per implementare una salute-in-tutte-le-politiche e una promozione della salute-in-tutta-la-società come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Non si articola né la prevenzione primaria, né quella secondaria. Non si articolano programmi per la riduzione degli incidenti domestici, per la costruzione di ambienti sani e resilienti. A fronte di una popolazione la cui età media fortunatamente cresce non emerge un piano integrato per aumentare, aldilà della mera aspettativa di vita, l’aspettativa di vita sana.

L’analisi di contesto che precede la parte relativa alle Missioni risulta embrionale perché offre una mera descrizione in termini di valori assoluti o di medie, senza offrire serie storiche sufficientemente ampie, come il 2020 avrebbe invece richiesto, e non misura indici di concentrazione nella quantificazione delle caratteristiche e parametri riportati. La principale sfida da vincere nel prossimo decennio è quella della disparità. Ma l’eliminazione della disparità, ovvero di quelle disuguaglianze che sono da tutti percepite come ingiuste, non si realizza se non attraverso un processo attivo che faccia emergere tali ingiustizie sommerse. Ecco alcuni esempi. Il digital divide si sta chiudendo oppure stiamo lasciando qualcuno indietro, e i non-digitalizzati sono sempre più emarginati? Ci sono profonde disparità in salute in aree diverse delle nostre città, anche rispetto alla sola aspettativa di vita o l’indicatore DMFT (decayed missing filled teeth), che può essere utilizzato come variabile proxy delle disparità. In un contesto nel quale l’aspettativa di vita in media comunque è alta, se non addirittura crescente, siamo sicuri di riuscire ad individuarle? Oppure continuiamo a muoverci nel paradosso dei polli di Trilussa. Solamente con un’analisi in termini di indici di concentrazione, che permettano di cogliere se si sta raggiungendo l’egualitarismo, è possibile abbozzare risposte a queste importanti domande. Come Open Sinistra FVG ritengo dunque questo Documento di Economia e Finanza Regionale molto insoddisfacente. Pertanto, ancorché migliorato rispetto all’anno precedente, riceverà il mio voto contrario. 

Qui il testo del DEFR

Relazione Honsell su Ddl 70 – Riforma sanità

Ha senso redigere una Legge se questa: (1) disciplina dinamiche nuove, ovvero (2) delinea metodi nuovi per risolvere criticità persistenti, ovvero (3) individua indicatori e obiettivi precisi da raggiungere. Una legge sulla sanità avrebbe potuto, nell’ordine, (1) essere innovativa nell’affrontare la disparità in salute, la medicina di iniziativa, la prevenzione; (2) specificare nuove strategie organizzative per integrare i percorsi dei pazienti sui versanti sanitario e socio-sanitario (presa incarico e continuità assistenziale), per superare l’affollamento dei pronto soccorsi, per migliorare il sistema emergenza-urgenza, per controllare il buon uso degli antibiotici e contrastare l’antimicrobial resistance (AMR); (3) fissare obiettivi quantificabili relativi alla riduzione omogenea delle liste di attesa, alla gestione dei servizi domiciliari,  o al contenimento delle spese superflue.

Ebbene, questo Disegno di Legge non ha nessuna delle tre funzioni. È una legge assolutamente generica, nella quale non vi è nulla aldilà di un’enunciazione di principi e di buoni propositi, nulla di concretamente innovativo che non fosse già contenuto nella legislazione vigente. È ovvio, dunque, dedurre l’inevitabile conclusione: questa legge è sostanzialmente inutile a parte la valenza mediatico-propagandistica, a cui ci ha purtroppo abituati questa Giunta che potrà cancellare qualsiasi riferimento ad atti normativi della legislazione precedente, perché seppure riproducendoli, li articola in ordine diverso.

Certamente non si può non essere d’accordo sugli importanti principi della moderna accezione di salute pubblica enunciati, sebbene, e sorprendentemente, non ci siano tutti. Non si cita il tema della disparità in salute, che negli ultimi decenni è stato riconosciuto come un determinante di salute collettivo fondamentale ancorché molto difficile da riconoscere e sul quale è molto problematico incidere. Al concetto di equità questa legge preferisce il concetto di omogeneità di accesso, che è nozione più burocratica che valoriale e certamente passiva.

Il periodare ambizioso, ma in ultima analisi piuttosto sterile, di questa legge, ci consegna alcuni articoli che non si possono non definire altro che dei truismi, come gli art. 32, 33, 36. Il primo proclama la collaborazione con le Università, come se ciò non avvenisse già, ma si guarda bene dall’introdurre dei principi per superare le zone grigie relative alla piena realizzazione di autentici teaching hospitals. Nessun indirizzo viene offerto per la redazione dei futuri protocolli di intesa. Il secondo autorizza progetti di collaborazione sanitaria transfrontaliera. Ma sono decenni, ormai decenni, che si fanno tali progetti! Il terzo rimanda a delibere di Giunta generiche senza intaccare le cause dell’insufficiente e a volte inefficiente informatizzazione del sistema. Altro articolo clamoroso, cospicuo per l’assenza di contenuto malgrado le roboanti premesse della Legge, è l’Art. 20 sulla Prevenzione. Ci si sarebbe aspettati da una legge che ha l’ambizione di venir ricordata come una “riforma”, uno slancio originale, speciale, volto a cogliere, sostenere e sviluppare le molte buone pratiche in Regione al riguardo e invece… c’è un banalissimo rimando alla normativa nazionale.

La delusione principale di questa legge è l’assenza di qualsiasi tentativo di sviluppare un sistema-salute integrato affinché la nostra Regione diventi punto di riferimento nazionale e internazionale nell’attuare in modo innovativo la salute-in-tutte-le-politiche, la cosiddetta health-in-all-policies tanto enfatizzata dall’OMS, oppure le più ambiziose whole-of-government approach o la whole-of-society approach alla salute.

Ma veniamo agli aspetti più pericolosi di una legge come questa, che nomina una miriade di strutture e possibili articolazioni organizzative senza darne definizioni precise, di una legge che ha più il piglio di un’enciclopedia del possibile ma che dimostra di non avere mai il coraggio di fare chiarezza sui ruoli, di dire veramente chi fa e che cosa. Proliferano enti e concetti vaghi: quello di dipartimento delle cure distrettuali, di unità di assistenza protratta, di presidio ospedaliero bipolare, di strutture uniche regionali, di strutture assistenziali intermedie (quanti? con quale autonomia?). Non elaboro qui il concetto che una legge quadro non dovrebbe mai presentare tali hapax legomena, lo smarrimento che provoca il nominare un ente una volta sola in un testo, andrebbe forse lasciato fare a poeti e filologi al celeberrimo mare navigerum lucreziano oall’altrettanto famoso snotgreen sea joyceano che ammiccava al misterioso oinops pontos omerico.

Non è chiaro come vengano risolte le criticità del hub-and-spoke: sono una struttura o sono più semplicemente delle funzioni, ma allora come viene garantita la qualità delle strutture di contesto?

Ma forse, tanta genericità e vaghezza si giustifica quando ci si rende conto che questa legge di fatto è una meta-legge. Costituisce quasi un paradosso deontico: legifera che non si legifera. Sviluppa infatti perfettamente il principio della delegificazione. Sono decine gli atti di giunta, i regolamentari, gli atti aziendali che prevede vengano varati, con sovente imprecisate periodicità, per risolvere le problematiche concrete e autentiche oggi esistenti. Questa legge è frutto di una concezione della politica, che abbiamo già visto praticare da questa Giunta nella legge sugli enti locali, che abdica al ruolo di guidare i processi, che invece si ritrae quasi dicendo: “tutti i problemi sono solamente problemi amministrativi, da lasciare in massima parte ai dirigenti, a loro va la responsabilità”. Ma se si pensasse che questa legge sia ispirata al più rigoroso spirito Bassaniniano ci si sbaglierebbe, perché la “Bassanini” prevede sì che la politica rinunci all’esecutività, ma non all’indirizzo e soprattutto non al controllo. Nel quadro vagamente definito di questa legge si è perduta la terzietà del controllo e soprattutto, non facendo riferimento ad indicatori qualsivoglia, si è perduto di vista che cosa si debba controllare. Gli indicatori espliciti mancano completamente, contravvenendo così anche a quanto la Corte dei Conti ha esplicitamente richiesto.

Il tralasciare le maggiori criticità ad atti amministrativi successivi, oltre ad essere un approccio un po’ magico-superstizioso alla gestione, presenta però un rischio molto concreto. Le leggi non sono impugnabili. Affrontare invece per delibere o atti aziendali gli aspetti critici presta il fianco ai ricorsi al TAR, che sabbiamo bene, possono paralizzare qualsiasi processo amministrativo.

Per tutti questi motivi come OPEN-Sinistra FVG sono assolutamente contrario a questa legge.

Ancora qualche punto di criticità.

Della scarsa chiarezza dei ruoli si è già parlato, ma la questione diventa grave nell’incapacità di mettere mano alla vera organizzazione distrettuale Artt. 15-18. Si conferma la sostanziale disomogeneità dimensionale, che è la prima sorgente delle difficoltà attuali, introducendo addirittura forme aggregate di committenza, produzione e controllo di servizi.  Ma così si introduce un ulteriore elemento di confusione che va contro l’interesse dei percorsi dei pazienti.  La vaghezza nella definizione di queste forme aggregative lascia poi aperta la possibilità di ingressi pesanti del settore privato a scopo di lucro nella cosiddetta “produzione” dei servizi.

Preoccupazione desta poi l’Art. 17 sul Dipartimento di salute mentale, in ultima analisi disciplinato da mero atto aziendale, oppure con non meglio precisate delibere di Giunta. Insomma strutture consolidate con bagaglio di esperienze e modalità importanti ridiventa de iure condendi.

Ancora più farraginoso del passato è il meccanismo di coinvolgimento degli enti locali nella definizione dei programmi e piani sanitari e sociosanitari accennato nel TITOLO IV. Diventa ancora più palese la mancanza di momenti di sintesi. La condivisione su area vasta non può diventare solamente un adempimento magari attribuito al CAL.

Tutto il tema delle reti al Capo V del TITOLO III non è nulla che una serie di titoli.

Questa legge è una legge ipocrita. È espressione di una parte politica che in campagna elettorale fece molte promesse, aizzando cittadini contro la Legge 26/2015 fino a farne una bandiera politica. Ma l’esito non solo disattende completamente tali promesse (il sistema emergenza-urgenza Art. 30, tanto per fare un esempio), ma essenzialmente riconferma proprio la legge che era stata tanto disprezzata da chi oggi è al governo regionale. Per non dire che addirittura alcuni settori, come quello dell’organizzazione delle attività dei Medici di Medicina Generale, fa sostanzialmente un passo indietro all’insegna del ‘liberi tutti’, che crea le condizioni per l’improvvisazione e la disomogeneità.

Forse l’estensore di questa legge non sarà chiamato a rispondere della scarsa coerenza politica, ma certamente il sistema sanitario ne uscirà disorientato. Questo articolato è deludente e stupisce la mancanza di chiarezza nel definire i ruoli. Ciò è ancora più grave perché l’ultimo anno di gestione commissariale sul versante sanitario sostanzialmente non ha prodotto praticamente nulla per sostanziare gli enunciati della centralità del paziente e della continuità delle cure.

Il Friuli Venezia Giulia è soprattutto lontanissimo da un sistema salute regionale integrato che veda tutte le professioni mediche e sanitarie, il privato sociale, le associazioni, i sindacati e gli altri portatori di interesse coinvolti e valorizzati dalla fase della formazione a quella della pianificazione.

In conclusione, il vasto e preziosissimo lavoro di riflessione ed elaborazione che è stato innescato presso la comunità regionale dei portatori di interesse attraverso il percorso delle audizioni in Commissione risulta assolutamente sprecato. Dopo una tale attività, vista anche l’elaborazione critica emersa e il lavoro propositivo presentato si sarebbe dovuto per onestà intellettuale rispondere a tutte le questioni sollevate. Nulla di tutto ciò e avvenuto a parte una minima cosmesi dell’articolato, che in ultima analisi l’ha reso ancora più vago e dipendente da futuri atti deliberativi, ma certamente non normativi. Peccato! Si è persa un’occasione importante e ancora una volta si è dimostrato come leggi di impatto dovrebbero avere la loro sede naturale di sviluppo in Consiglio e non venire elaborate all’esterno e poi approvate a colpi di maggioranza, come purtroppo avverrà.

Scarica qui il testo del Disegno di Legge approvato dalla Commissione