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Presentazione della Pdl volta a contrastare il fenomeno della Solitudine

Abbiamo presentato questa mattina a Udine la proposta di legge di cui sono primo firmatario volta a contrastare il fenomeno della Solitudine. La proposta di legge è stata elaborata con il supporto e il consiglio di esperti del settore ed è stata fatta propria anche dalle consigliere Maria Grazia Santoro e Simona Liguori a nome dei rispettivi gruppi.

Nel corso della conferenza stampa di presentazione abbiamo avuto modo di sottolineare come quello della solitudine sia forse il vero “male della modernità” e come colpisca in modo indiscriminato tutti i ceti e le fasce di età ma sia particolarmente grave tra gli anziani e gli adolescenti e che come una maggiore conoscenza del fenomeno e la definizione di efficaci strategie di prevenzione e contrasto rappresentino un passo necessario verso una società più inclusiva e solida.

La proposta di legge ha avuto nella giornata di ieri il parere ampiamente positivo del CAL e sarà discussa dal Consiglio Regionale alla fine di questo mese.

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Sciopero mondiale per il Clima: alcune riflessioni

Grazie Marianna e a tutti voi per aver organizzato a Udine questa manifestazione!

Era da 45 anni che aspettavo questo momento, da quel 1972 quando venne pubblicato il Rapporto Meadows del Club di Roma di Oreste Peccei: I limiti dello sviluppo. Non ebbi bisogno di leggerlo, mi bastò il titolo, era ovvio. Da allora ho sempre giudicato parole come crescita o sviluppo quasi come parolacce. Progresso sì invece, questa parola l’ho usata perché il progresso è sostenibile e deve essere spirituale, più che materiale per questa parte del mondo nella quale viviamo. Progresso anche nella consapevolezza dell’impatto dei nostri stili di vita.

Inizierò da una domanda che vorrei che ciascuno di voi si ponesse. Perché voi giovani e giovanissimi state riuscendo dove sono invece falliti politici come Al Gore, nientemeno che vice – presidente degli Stati Uniti o scienziati come Barry Commoner uno dei padri dell’ecologismo, e tantissimi altri politici, medici, economisti, intellettuali? Perché in tanti sono rimasti sordi ai loro appelli e troviamo ancora oggi, ai massimi vertici delle superpotenze nel pianeta, negazionisti del riscaldamento globale o che ne rifiutano l’origine antropica?

Chiedetevelo, forse non c’è una risposta, se non quella che vedo con commozione qui oggi. Oggi, voi che protestate per difendere il vostro futuro in tutto il mondo (200 città in Italia 1800 nel mondo) siete milioni!!

Dovrete continuare a gridare la vostra protesta perché non c’è più tempo! Sulla vostra generazione e quelle future si abbatterà una catastrofe ambientale, che sarà apocalittica se non si agisce subito, sarà anche una catastrofe socio-economica che vedrà aumentare le disparità, i conflitti. Ci si deve adoperare a livello globale e con rinnovato impegno e rigore a ridurre le emissioni derivanti da combustibili fossili. Altrimenti i migranti ecologici per mancanza di acqua, di cibo, di terra che è stata ripresa dal mare saranno a centinaia di milioni. Lo saremo anche noi.

Dobbiamo essere tutti grati a Greta Thunberg e a voi, oggi qui a Udine e altrove, perché ci avete posto con semplicità e fermezza la domanda: “Cosa avete fatto fino ad ora? Cosa state facendo?” Sì, cosa abbiamo fatto e stiamo facendo alle generazioni future?

Ecco cosa stiamo facendo!

Siamo nel pieno antropocene, l’era dell’uomo e abbiamo dato inizio alla 6° estinzione di massa. La biodiversità si sta riducendo in modo catastrofico. Le specie si sono ridotte dell’80%.  Gli insetti stanno scomparendo con un ritmo di 2,5% l’anno a causa di pesticidi e fitofarmaci. Delle api lo avrete certamente sentito e quasi tutti i meccanismi di impollinazione si basano sugli insetti. Si altera coì il ciclo della vita. L’homo sapiens stesso, rischia di estinguersi proprio nell’antropocene. È quasi un paradosso!

Un quarto degli oggetti prodotti dall’uomo è stato prodotto dopo il 2000, pensate, quasi tutti dal petrolio, il metano e il carbone, di plastica.

L’inquinamento più grave è invisibile è quello dovuto alle emissioni di gas serra però. Soprattutto la CO2 prodotta dalla combustione di fonti fossili.

Ecco una breve storia della CO2: 2.4 milioni di anni fa la produzione di ossigeno di scarto da parte dei cianobatteri portò alla terza atmosfera terrestre, quella moderna. L’ossigeno permise l’evoluzione della vita come la conosciamo oggi e anche quella della civiltà. La CO2 era allora di 4,000 ppm ma le piante incominciarono a estrarla e fissarla e quindi la CO2 incominciò a ridursi fino a raggiungere le 180 ppm, 500 milioni di anni fa.  Da allora è rimasta sotto i le 300 ppm fino a pochi istanti fa in scala geologica ovvero nell’ultimo secolo e mezzo. A causa dell’uomo. A causa dell’uso di combustibili fossili.

Non vi è più alcun dubbio che i nostri stili di vita basati sull’industrializzazione, sul consumismo, sui viaggi aerei, sull’“ipertrofia del presente” hanno alterato il ricambio e l’equilibrio che era stato raggiunto tra emissioni e fissazione di CO2 da parte delle piante. L’airborne fraction è oggi del 45%, ciò vuol dire che metà della CO2 che produciamo in un anno rimane in atmosfera e ci rimane per circa un secolo.  La produciamo a causa dell’uso smodato di combustibili fossili per produrre energia elettrica, per il riscaldamento, per i trasporti per il traffico aereo. La concentrazione di CO2 oggi ha superato le 400 ppm, il 24% in più del 1960, il 40% in più rispetto all’era pre-industriale. Pensate nel corso della mia vita la concentrazione di CO2 è aumentata di 90 ppm. In 60 anni è aumentata tanto quanto per ridurla di altrettanto ci vollero milioni di anni di storia del pianeta. Le previsioni indicano una forbice entro fine secolo che andrà dalle 700ppm, se conteniamo le emissioni, fino ai 1500 ppm se continuiamo a fare come se niente fosse, ovvero business as usual. Ma cosa vuol dire contenere le emissioni: non basta più contenerle entro il 20%, ci vuole almeno il 40% entro il 2030 e prevedere la neutralità carbonica per il 2050.

Dico questo perché vi voglio brevemente raccontare quanto si fece a Udine. Nel 2009 si aderì al patto dei sindaci 202020 che prevedeva entro il 2020 la riduzione di almeno il 20% delle emissioni di CO2 da fonti fossili, il raggiungimento di una dipendenza da energie rinnovabili per almeno il 20% e la riduzione di consumi del 20%, ovvero efficientamento – le parole nemmeno esisteva sul vocabolario allora. Per prima cosa bisognava contare quante erano le nostre emissioni in tonnellate di CO2 equivalenti. Lo si calcolò relativamente al 2006. Ebbene erano di 700.000 T equivalenti di CO2. È un calcolo importante questo, si tiene conto di tutto: del riscaldamento, del consumo di energia elettrica, dei combustibili per autoveicoli, del consumo di suolo ma anche della raccolta differenziata e del riciclo, del verde pubblico. Ebbene ce l’abbiamo quasi fatta, ma in questi 10 anni abbiamo dovuto fare trasformazioni molto significative, l’illuminazione a LED, il sistema di co-generazione e teleriscaldamento (il calore che riscalda quasi tutte le vostre scuole è calore che altrimenti andrebbe sprecato in torri di raffreddamento nelle centrali che producono energia elettrica e che invece oggi viene raccolto e instradato per riscaldarvi senza bisogno di bruciare altro combustibile per riscaldarvi), fotovoltaico, solare termico. L’efficienza della produzione di energia elettrica in Italia è del 40% rispetto alla fonte di energia primaria, pensate a quanto è inefficiente. Ma questo risultato nel quale pochissime tra le oltre 10.000 città europee che siglarono il patto sono riuscite, è una goccia adesso bisognerebbe ridurre di ulteriori 20%. E prevedere la neutralità carbonica per il 2050.

Ciò non è pensabile senza un cambiamento radicali degli stili di vita, da parte di tutti, ma soprattutto di chi ha la possibilità di incidere.

Se nel periodo 2014 al 2017 I dati sembravano indicare che le emissioni si fossero stabilizzate, ovviamente continuando ad accumularsi, nel 2018 c’è stato un ulteriore incremento del 2,7%. Siamo oggi ben oltre le 35 Gton (miliardi).  

Sembra davvero un obiettivo irraggiungibile.

Ma invece bisogna agire e gestire l’inevitabile se si vuole evitare l’ingestibile.

La conseguenza più subdola ma più grave dell’aumento di CO2 è il riscaldamento globale. E dire che i gas serra, come la CO2 sono essenziali per la vita, perché permettono di mantenere una temperatura media intorno ai 15° che altrimenti sarebbe di -20°. Lo scoprì uno svedese come Greta, Arrhenius, a fine ‘800 per primo. Ma a causa dell’aumento di CO2 dal 1900 ad oggi la temperatura media sulla terra è aumentata di circa 1°, ma il ritmo di crescita dal 1980 ad oggi è stato pari allo 0,3° ogni 10 anni. Tutti gli anni oltre il 2000 sono stati tra i più caldi da quando si tengono le statistiche, con il picco dei 35.00 morti in Europa nell’ondata di caldo del 2003, l’anno nel quale nacque Greta, pensate. Quali sono le conseguenze di ulteriori aumenti. Aumenteranno le ondate di calore d’estate, salirà il livello del mare 1 cm ogni 10 anni, aumenteranno gli uragani. Ma la cosa più grave è che non sarà un aumento lineare ma ci sarà purtroppo un effetto valanga la fusione del permafrost libererà altri gas serra, come il metano, che contribuiranno ad un aumento ulteriore della temperatura. Soprattutto in regioni come la nostra gli effetti saranno ancora più marcati. Perché siamo zona mediterranea, con molte retroazioni positive, ma anche zona montuosa e quindi a causa della stratificazione della CO2 più esposta all’aumento della temperatura. Avremo così meno neve d’inverno a ricaricare le falde d’estate perché l’acqua ruscellerà a valle perdendosi in mare, invece di essere disponibile anche in tarda primavera. L’abbondanza di acqua della quale abbiamo sempre goduto non sarà più disponibile quando servirà d’estate perché cambierà il regime delle precipitazioni che saranno sempre più intense e più saltuarie. D’estate le piante arriveranno molto prima ad uno stress idrico, l’agricoltura dovrà cambiare. È terribile dire queste cose qui in Friuli in quella che fu la patria di Girolamo Venerio (1777-1843) che fu tra i primi nelle Osservazioni meteorologiche fatte in Udine nel Friuli pel quarantennio 1803-1842 ad avviare studi scientifici sul clima la meteorologia in Italia e forse in Europa.

L’aumento di temperatura previsto dai modelli se raggiungeremo la neutralità carbonica nel 2050 sarà di 2°, altrimenti se continueremo business as usual sarà di 6°.

L’effetto per l’Europa a fine secolo sarà come se fosse tutta trasportata a sud di 1000 chilometri. Udine avrà un clima più caldo di quello odierno di Tunisi. 

E noi diventeremo sempre più rimbecilliti. Si stima che già con 1000 ppm di CO2 la nostra lucidità diminuisce del 10%. Pensate cosa succede quando non aprite le finestre in aula, pensate all’aria in un aeroplano. Con 1500 ppm la nostra capacità cognitiva è ridotta del 50%. 

Lo ripeto dobbiamo raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 solo così potremo contenere l’aumento della temperatura al 2° rispetto all’era industriale. Ma questo fatto che discende dagli accordi del COOP 21 di Parigi, non lo dice nessuno. E comunque un aumento della temperatura vuol dire anche più energia in atmosfera (1/2mv2 = 3/2kTl’energia dipende direttamente dalla temperatura) e dunque più eventi violenti ed estremi. Pensate ai milioni di alberi abbattuti in Cadore dall’ultima tempesta di vento e dal ciclone Vaia. Due ani fa avvenne un’altra tempesta, sulle coste. Ricordo che si accesero le luci a Castions di Strada dove mi trovavo, anche se erano le tre di pomeriggio tanto si era fatto buio.

Cosa si può fare?

La prima cosa è conoscere. Sapere che a Udine consumiamo in media 200litri al giorno di acqua potabile contro i 10 litri di acqua potabile con la quale vivono in altre parti del pianeta.  Nel mondo un bambino muore ogni 15 secondi per diarrea dovuta ad acqua non potabile. Dobbiamo essere consapevoli della nostra impronta carbonica e del nostro bluewater footprint.  Dobbiamo essere consapevoli che il nostro grado di consumo della Terra vede oggi l’overshoot day (il giorno nel quale si inizia a consumare quanto non si riuscirà a compensare nell’anno) ai primi di agosto mentre nel 2000 era in ottobre. Sapere che accettare la logica di una società spensierata e consumistica sta portando alla deforestazione del pianeta, per la produzione di assurde quantità di oggetti, di prodotti agricoli, di bestiame per una dieta alimentare che porta all’obesità. Ogni volta che mettete piede in un centro commerciale e acquistate un prodotto, chiedetevi se questo è locale, probabilmente per produrlo si è contribuito in modo esagerato all’aumento di emissioni, alla perdita di biodiversità, alla deforestazione, allo sfruttamento di tanti giovani come voi. In una parola dobbiamo cambiare i nostri stili di vita e non sognare l’autoveicolo privato come i nostri padri e nonni. A Città del Capo l’inverno scorso era a 24 ore dal Day Zero, il giorno del quale non c’è più acqua potabile ed era tale lo sforzo di consumarne poca che era diventato disprezzabile girare con i capelli puliti, pensate.

Basta negazionismi: sul Canin una volta c’era il ghiacciaio Ursic sul quale si poteva sciare oggi semplicemente quel ghiacciaio non c’è più, si è ridotto ad un nevaio morto.

Tutti si deve fare ricerca su come ridurre le emissioni di gas serra, come sviluppare l’innovazione verso energie rinnovabili, come realizzare la de-carbonizzazione (ovvero l’eliminazione del ricorso a combustibili fossili o a materiali derivati dal petrolio), verso la riduzione dei consumi e l’efficientamento. E soprattutto fare ricerca su come accumulare la CO2 che si trova in atmosfera.  È questa una grande sfida, per certi versi anche entusiasmante. Potrei citarvi mille usi per una fognatura, oltre a quello ovvio: “fognatura” come sorgente di calore per una pompa di calore, come fluido per azionare una turbina, come canale per telecomunicazioni. Ma le fognature vanno prima di tutto fatte e qui in Friuli ce ne sono molto poche. Ci vogliono opere pubbliche quindi. E magari fare sistemi di raccolta dell’acqua piovana in ogni luogo. Bisogna modificare i regolamenti edilizi per ridurre le dispersioni termiche negli edifici, per raccogliere meglio l’acqua piovana e non usare acqua potabile per bagnare i giardini come tanto spesso qui viene fatto. Si può immaginare di costruire enormi impianti fotovoltaici nel Sahara oppure mandare in cielo ombrelli fotovoltaici per riparare le città dal sole e intanto produrre energia elettrica. Dovremo inventare carbon sinks. Ci vuole coraggio e fantasia. Ma io sono certo che la nostra specie ce ne avrebbe.

Ma dobbiamo anche spostare il nostro punto di vista, come del resto ha detto anche papa Francesco nell’enciclica Laudato sì: non ci può essere giustizia sulla terra se non c’è giustizia verso il pianeta. A cui io aggiungerei “se non diamo diritti anche agli animali, agli insetti”. La natura è un sistema pieno di retroazioni non si può privilegiare una specie, con uno specismo, con un antropocentrismo, semplicistico a scapito di tutte le altre specie. Non dobbiamo lasciare indietro nessuno, né uomo, né donna, né bambino, nemmeno un insetto, la cui specie forse non conosciamo nemmeno. Dovremmo piantare bilioni di alberi.

E poi mitigazione e adattamento ai mutamenti climatici perché ce ne saranno, e quindi irrobustire le reti sociali. Dovremo cambiare il tipo di agricoltura. Certamente dovremo cambiare le produzioni industriali. Anche la produzione e l’uso di cellulari dovrà ridursi perché già adesso incide per parecchi punti percentuali sulla nostra impronta carbonica.

Ho lasciato per ultimo l’aspetto politico. Quale futura organizzazione. Certamente i nazionalismi dovranno scomparire. Spesso da questa piazza ho invitato il 25 aprile, festa della liberazione, a liberarsi della schiavitù del consumismo e a fare di tutto il pianeta la nostra patria. Dovrà esserci qualcosa di molto di più di una solidarietà internazionale. L’ONU ha lanciato i 17 Sustainable Development Goals. Ma certamente se non si affronterà questa emergenza con coraggio l’umanità, la civiltà come la viviamo oggi scomparirà entro fine secolo.

Certamente la maturità che dimostrate in questa vostra manifestazione dovrebbe spingerci a dare il voto anche ai quindicenni (e forse a toglierlo dopo i 30 – ma è chiaro che dico ciò solamente per provocazione).

È ben rendersi conto che non possiamo essere più dei sonnambuli che corrono verso il precipizio. Abbiamo davanti la più drammatica sfida per l’umanità dai suoi albori.

La vostra voce non dovrà abbassarsi fino a quando gli scienziati non ci diranno che l’emergenza è gestibile.

Prima di allora la vostra forza è l’unica che può piegare anche il più temibile avversario per la specie umana e il pianeta che la ospita, più ancora se mai possibile, dell’aumento di CO2 cioè l’arroganza e la miopia dell’uomo stesso! 

Foto: ilfriuli.it

Relazione su ddl 37 di modifica alla Legge regionale 13/2018 sul diritto allo studio

Mentre mi accingo a scrivere questa relazione su un disegno di Legge relativo al Diritto allo Studio, il mio pensiero non può non distogliersi dalla condizione dei migranti a bordo della Sea Watch, che a meno di due miglia dalla costa italiana, sono costretti dal nostro Governo a vivere in condizioni di profondo abbruttimento, come deterrente contro futuri arrivi. È tremendo parlare di un diritto quando di questo diritto non potranno godere mai i tanti giovani in fondo al mare Mediterraneo, che hanno cercato in un inutile viaggio di poterne finalmente godere, o di quelli sulla Sea Watch, il cui destino è quanto mai incerto. Forse garantire a quei minori, anche se non residenti, questo diritto sarebbe l’esempio più educativo che potremmo dare ai nostri giovani!

Una cappa grigia e pesante sta calando sul mondo della Scuola in Friuli Venezia Giulia: il DDL 37, che va a modificare subdolamente e dopo meno di un anno la Legge regionale 13/2018.

Gli spunti chiari ed espliciti sono minimi. Alcuni sono pienamente condivisibili: come le precisazioni sugli interventi relativi alla sicurezza e la prevenzione degli incidenti sul lavoro e nella scuola (art. 15) o le precisazioni su come articolare la “scuola in ospedale e la didattica a domicilio” (art. 9). Ci si poteva fermare qui o tutt’al più includere solamente quelle normette di assoluto dettaglio, che precisano in modo maniacale tutti i passaggi burocratici dell’erogazione di taluni contributi e sembrano quasi un regolamento per scaricare tutti da qualsiasi responsabilità amministrativa come nell’art.36, che riguarda i fondi ex-provincia o nell’art. 33 che riguarda i contributi per la tutela della minoranza linguistica slovena.

Ma prima di entrare direttamente nel merito un rilievo metodologico sull’iter di questo DDL va fatto. Come commissari di Open Sinistra FVG e Partito Democratico siamo stati obbligati ad andare sopra le righe per rivendicare le audizioni dei portatori di interesse, ai quali non è poi stato lasciato tempo sufficiente per riflettere sulla proposta. La Commissione è stata poi costretta ad operare accavallando i lavori con quelli di un‘altra Commissione per poter giungere in modo sollecito all’approvazione. Ci si chiede quale fosse l’urgenza, se non quella simbolica di poter affermare che è stata approvata un’altra legge, indipendentemente dalla sua rilevanza, o dal voler marcare subito, politicamente, un restringimento regionale dell’orizzonte culturale della nostra scuola. L’alto numero di emendamenti presentati dopo le audizioni dalla stessa Assessore come, ad esempio, la reintroduzione delle misure a sostegno dei giovani con disturbi specifici dell’apprendimento, dopo che con grande meticolosità era stato puntualmente espunto in tutto gli articoli, danno la misura di come questa Legge sia stata poco meditata, se non nella sua volontà ideologica e soffra di improvvisazione.

Questa legge prevede una sottile, ma inesorabile cosmesi lessicale dell’articolato della L.R. 13/2018, che sulle prime può sembrare neutrale o addirittura un’irrilevante questione nominalistica, come negli articoli dove in ossequio a qualche ansia nominalistica ministeriale “l’alternanza scuola lavoro” da oggi verrà chiamata “percorsi per le competenze e per l’orientamento”. Ma ad un’analisi più attenta, si legge in controluce in questo DDL una curvatura che non è solamente linguistica. Con determinazione e coerenza vengono operate modifiche che tarpano le ali a quella creatività e pluralismo che sono la vera tradizione scolastica della nostra regione.

Già nell’articolo 1 la cosmesi lessicale della Legge fa sentire la sua cifra restrittiva. L’ampiezza dell’aggettivo “educativo” viene sostituita dal più materialistico “formativo”, che non sono per nulla sinonimi. I più liberi “percorsi” vengono trasformati in “processi”, diretti dall’alto, forse. Non si migliora però la prosa: permane l’uso infelice della parola “implementazione” immagino con il senso di “incremento” … “gli approcci integrati multidisciplinari” diventano pleonasticamente “integrati interdisciplinari”.  Né si risolve la problematica relativa al trasporto scolastico dei disabili che un tempo era svolto dalla Provincia e che adesso sembra venir attribuito interamente ai Comuni non si sa se con risorse adeguate. Spunti potenzialmente positivi, sono invece gettati creando discriminazione: come nel caso delle scuole che promuovono salute come se ve ne fossero altre non interessate a promuoverla. Spero si volesse dire che si intendeva fornire strumenti a tutte le scuole per promuovere stili di vita sani e sostenibili attraverso progetti di salute fisica, alimentare e ambientale.

All’art. 5 non ci si lascia sfuggire l’opportunità di esplicitare che certi servizi si erogano solamente agli studenti residenti in Regione, senza curarsi di come ovviare all’evidente discriminazione antieducativa, che si viene così a creare.

Tremenda risuona all’art.8 la sostituzione della parola “evitare” con “ridurre” nella frase “evitare la dispersione scolastica”, che adesso suona “ridurre la dispersione scolastica” come se ciò che si cerca di fare sia il regolamentare la quantità di dispersione. Forse il nuovo legislatore ritiene che un po’ di dispersione sia sin salutare. Pesante suona l’enfasi all’art. 10 dell’aggiunta ad un mero titolo, quello del Capo V della 13/2018, dell’aggettivo “non statali”. Dall’articolato era chiaro a chi ci si riferisse, ma evidentemente qui l’obiettivo è la visibilità.

Solamente in un frangente il lessico sembra segnare un’apertura culturale ed è all’art. 19 che modifica l’art. 32/13 sulla promozione della dimensione europea dell’istruzione, perché si parla di internazionalizzazione. Ma l’impressione è di breve durata, si rimane agghiacciati nel rilevare quale ne sia lo scopo, che è quello di promuovere la peggior ideologia anti-europea perché quella che era la “diffusione della dimensione europea dell’istruzione e della formazione” diventa “la diffusione della dimensione internazionale dell’istruzione e dell’educazione”. L’Europa è scomparsa, era forse troppo di sinistra?

Un ultimo commento lessicale va espresso relativamente alla tematica “tempo pieno”,“ tempo prolungato” che a partire dall’art. 20 si trasforma in “tempo integrato extrascolastico”. Era emersa nelle audizioni un’indubbia pluralità di interpretazioni, su cosa dovesse intendersi per tempo pieno e tempo prolungato. Questa era una questione non nominalistica da approfondire, ma non ce n’è stato il tempo. Cosa fa dunque il DDL 37?  Dopo un andirivieni emendamentale cassa tutto, coniando un neologismo: il “tempo integrato extra-scolastico”. Concetto sull’orlo della contraddizione in termini: se il tempo è integrato non può essere extra-scolastico, ma se è extrascolastico allora non si è ancora integrato. Il Legislatore non si perita di chiarire cosa intenda!

Uno dei momenti più drammatici del DDL si raggiunge all’art. 16/37 che va a modificare l’art.29/13 (inserimento scolastico degli alunni figli di immigrati): le iniziative scolastiche di carattere interculturale diventano iniziative volte alla valorizzazione dell’identità culturale regionale. Come se ve ne fosse una e non fosse il FVG di per sé, coacervo di identità diverse e proprio per questa sua pluralità culturalmente più fertile. L’interculturalità è l’unico strumento per l’inserimento. L’identitarismo, tanto caro a questa amministrazione, è stata invece un’ideologia nefasta.

Ho condotto fin qui un’analisi principalmente lessicale, perché penso che suggerisca la cifra secondo cui interpretare tutti gli altri cambiamenti apportati alla Legge 13, dal DDL 37 ovvero gli artt. 22 e 23. Cambiamenti che sono stati aspramente criticati durante le audizioni da tutti gli operatori della scuola. Consistono nell’abolizione degli articoli della Legge 13/2018 che riguardano le modalità della progettazione didattica e i progetti speciali.  Con il nuovo articolato forse saranno ancora possibili queste iniziative, ma alla progettualità verrà sostituita la convenzione. Cosa significa? Quelle ricche e straordinarie iniziative saranno ancora possibili? Forse sì, ma solamente attraverso un controllo maggiore anche da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale. Vi sarà dunque maggior dirigismo, maggiore irreggimentazione, maggiore conformismo a detrimento dell’autonomia scolastica, pure sancita addirittura a principio costituzionale dopo la riforma del 2001. Nella stessa chiave va letta anche l’abolizione di finanziamenti alla Consulta degli Studenti. Tutto deve passare attraverso convenzioni e il vaglio dell’Ufficio Scolastico Regionale, che diventa così il nuovo deus-ex-machina della Scuola in FVG. Quanti progetti speciali, fondamentali per la reale crescita educativa e l’emancipazione dei nostri giovani, che erano ormai consolidati, dovranno ripartire da zero sotto una nuova forma? Quanti non ripartiranno o forse scompariranno? Poco importa a questo Legislatore, si ritorna al concetto di imprimatur. Alcuni tavoli vengono tolti, altri ne vengono costituiti. Vengono costruite anche delle reti, ma non sembrano strumenti per allargare l’orizzonte, quanto reti per impigliare chi non si adatta al processo. Non si parla infatti di contenuti.

In conclusione se la natura e l’evoluzione di questa legge diventeranno lo schema legislativo di questa maggioranza in tema di Scuola sono seriamente preoccupato. È stata caratterizzata da un iter legislativo quasi di rapina, compromettendo le audizioni. Non articola nuove idee ma opera ritocchi corrosivi e parassitari dell’impianto esistente così da rendere la struttura meno aperta alla creatività e alla fantasia.

Questa legge doveva dare energia e risorse nuove alla Scuola, favorendo la libertà di innovazione didattica. Al contrario, tutti quegli strumenti che erano a disposizione per sperimentarla vengono adesso irrigiditi.

Jacotot, all’indomani della Rivoluzione Francese, tra i primi a porsi seriamente il problema della pubblica istruzione universale, aveva individuato un bivio per le istituzioni scolastiche. Da un lato l’emancipazione, la promozione della fiducia in sé stessi, la promozione della curiosità, del gusto della ricerca e della scoperta, dall’altro l’abbruttimento, la creazione di distanze, che inculchino spiegazioni preconfezionate. Il DDL 37 vira purtroppo verso quest’ultima alternativa. Ben altro avrebbe dovuto essere un intervento sulla Scuola, che favorisse in una logica pluralista la liberazione e diffusione delle idee migliori!

La più grande fonte di disparità e di sofferenza nell’epoca contemporanea riguarda la conoscenza. Contrastare tale disparità è nostro dovere, ma anche la nostra unica speranza per un mondo migliore. Questa Legge non va in quella direzione.

Purtroppo, dopo questa legge la scuola sarà più di destra!

Scarica qui l’ultima versione fuoriuscita dalla Commissione e in discussione in Consiglio

Alcune osservazioni dopo le audizioni su Pdl 26

Ieri pomeriggio si sono svolte le audizioni relative alla Proposta di Legge 26 “Omnibus” presentata dai consiglieri della Lega.

La proposta è preoccupante per le modifiche urbanistiche che prevedono situazioni automatiche di ampliamento, con percentuali impressionanti di volumetrie in altezza, togliendo ai Comuni la potestà urbanistica.

Sono norme pericolose per i nostri centri turistici ma anche per il piccolo commercio. Sono, inoltre, alzati i limiti per l’obbligo delle valutazioni idrauliche: ciò è pericoloso proprio alla luce degli attuali mutamenti climatici che comportano piogge molto intense.

Preoccupano infine le modifiche alle destinazioni urbanistiche che rischiano di mettere in difficoltà molte iniziative di carattere sociale che utilizzano strutture ricettive.