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Relazione di minoranza Honsell a DDL 180 “Istituzione dell’Elenco regionale delle scuole non statali di musica”

Il 21 giugno 2021, quindi quasi un anno e mezzo fa, depositai, come Open Sinistra FVG, una legge quadro sulle attività musicali in Regione: la Proposta di Legge 139 dal titolo “Provvedimenti per la promozione, la valorizzazione e lo sviluppo della produzione musicale in Friuli Venezia Giulia”. Tale norma partiva dalla considerazione che la musica è una delle poche attività capaci di coniugare le dimensioni cognitive, psicomotorie, emozionali e relazionali di una persona. E, per illustrarne la valenza, compendiavo tutto ciò riportando ad esergo della relazione di quella PDL i versi 81 – 83 del I Canto del Paradiso dantesco. La musica è pertanto un’attività irrinunciabile nell’educazione e nella formazione dei giovani. Non a caso dagli anni ’50 del XX secolo, ovvero dal baby boom occidentale in poi, la musica è diventata il principale linguaggio espressivo giovanile, capace di favorire l’interazione tra culture diverse. Inoltre la nostra regione, sin dall’alto medioevo, è stata fucina di espressioni, scuole e manifestazioni musicali nonché depositaria di un vasto patrimonio musicale che va dalle villotte alle forme più innovative di rap. Basti ricordare che i nomi delle note musicali hanno origine proprio dalle sillabe iniziali di ciascun emistichio del Versus in laudem sancti Iohannis Baptistae, 1-4 [26] di Paolo Diacono da Cividale:

UT queant laxis. REsonare fibris.

MIra gestorum. FAmuli tuorum.

SOLve polluti. LAbii reatum.

Sancte Iohannes.

Per non citare il contributo alla teoria dell’armonia di Giuseppe Tartini da Pirano, tanto apprezzato da J. J. Rousseau. Questa ricchezza musicale del Friuli Venezia Giulia ha origine e si alimenta anche della pluralità di lingue e culture che coesistono in questa regione e del ruolo di cerniera tra oriente e occidente europeo che ha svolto nell’ultimo millennio.

La PDL 139 da me presentata prevedeva un quadro organico di sostegno a tutte le attività e le produzioni musicali in questa regione: dalla formazione, alla sua valorizzazione economica, turistica e imprenditoriale.  Purtroppo la spietata struttura a canne d’organo di queste amministrazioni pubbliche, che non permette un lavoro organico tra i vari assessorati, e le rigidità di dialogo tra le varie commissioni, hanno confinato questa PDL mia alla sola Commissione V e ciò ne ha paralizzato l’iter.

Ci è stato presentato invece questo DDL 180 in cui già nel titolo e nell’Art. 1 comma 1, si riprendono contenuti dalla legge da me presentata. Il Comma 2 all’Art.3 della nostra PDL 139 così recitava: “La Regione istituisce presso la direzione centrale competente l’albo regionale delle scuole di musica e delle associazioni musicali garantendo …”. La DDL 180 all’Art. 3 invece recita: “È istituito, presso la struttura regionale competente in materia di istruzione, L’Elenco regionale delle scuole di musica non statali del Friuli Venezia Giulia …” La sola modifica è la sostituzione del nostro vocabolo più aulico “Albo”, con il più prosaico e rozzo “Elenco”.

L’Art.2 della nostra PDL apriva molte altre linee di sviluppo e di sostegno alle attività e produzioni musicali in regione oltre alle scuole di musica. Certamente non scendeva nel dettaglio quanto viene fatto in questa DDL, ma certamente quanto mi è stato risposto alla richiesta di poter discutere la legge da me presentata abbinandola alla presente, ovvero che “la mia legge poco c’entrava con questa DDL che tratta degli aspetti formativi ed educativi”, mi sembra risposta davvero curiosa e limitativa. La presente DDL 180 quanto a principi o elementi autenticamente normativi ha ben poco di più di quanto riportato nell’Art. 3 della PDL a mia firma. L’ampia elaborazione di questi principi contenuti nella DDL 180, che ha orgogliosamente rivendicato l’Assessore in Commissione, a mio avviso appartiene più a quanto usualmente viene riportato nei regolamenti relativi all’emanazione dei bandi per l’erogazione di contributi pubblici, se non addirittura ai bandi stessi. Per convincersene basti leggere i sottotitoli degli articoli di questa DDL 180: modalità di presentazione della domanda, criteri di riparto, rendicontazione di contributi, ecc. Più volte, altri Assessori di questa Giunta hanno rivendicato il principio che le leggi devono enunciare solamente dei principi generali e non entrare nelle modalità gestionali, ma evidentemente è sempre attuale il discorso sulla giustizia rivolto dagli Ateniesi ai Melii, riportato da Tucidide ne La Guerra del Peloponneso.

A mio avviso non vi è dubbio che questo DDL sia un’importante occasione perduta per lo sviluppo della musica in regione. Per una volta che si è trattato in quest’aula consigliare di una forma di espressione artistica quale la musica, rara avis davvero, si sarebbe potuto ampliare l’ambito. La trattazione ha invece suscitato scarso interesse, come si evince dall’alto numero di deleghe tra i consiglieri e la rapidità del dibattito. Si sarebbe potuto lasciare ai regolamenti dei bandi, la mera spartizione delle risorse pubbliche. Si sarebbe dovuto invece inquadrare questa importante azione che la Regione intende fare per sostenere le scuole di musica non statali nel contesto più ampio e completo che dalle scuole di musica si apre verso la valorizzazione economica, industriale, turistica e dell’intrattenimento, insomma verso tutta quell’ampia e variegata filiera che viene riunita dal denominatore comune della musica. Questo settore a nostro avviso è molto importante in questa regione ma è fragilissimo. Ciò si poté constatare ai tempi dei decreti aiuti e ristori del Covid, quando fu abbastanza facile intervenire sui codici ATECO di quasi tutte le attività economiche, ma fu invece molto più difficile sostenere le molte migliaia di lavoratori dello spettacolo dal vivo e della musica in particolare, titolari di contratti atipici, intermittenti o a chiamata. La nostra legge prevedeva tra l’altro l’istituzione di un’agenzia analoga alla Film Commission, una Music Commission, che innescasse dinamiche innovative nel settore, d’intesa anche con le scuole di musica, per valorizzare proprio coloro che vengono formati da tali scuole. Purtroppo tutto ciò non c’è stato e quindi siamo rimasti con una legge, che come si è detto è poco più di un regolamento per futuri bandi.

Pur avendo un orizzonte piuttosto limitato questa DDL è certamente molto gradita alle scuole di musica in quanto promette generose risorse pubbliche tutelando tutte le singole specificità. Ma certamente il compito legislativo e di indirizzo progettuale che dovrebbe avere questo Consiglio è venuto meno ancora una volta.

Come si è detto gli articoli dettagliano sin nei minimi aspetti la spartizione di queste risorse pubbliche da parte di scuole, associazioni e reti, facendo ben attenzione che non si inneschino rivalità e gelosie tra le varie tipologie. Non entreremo nel merito perché pare che sotto questo profilo strettamente finanziario ci fosse piena soddisfazione tra gli auditi.

Pare poco valorizzato invece il rapporto che molte scuole di musica hanno con il sistema scolastico primario nei suoi vari gradi. Inoltre, come è già stato pienamente esplicitato, manca tutto ciò che ha a che fare con la produzione musicale in senso lato.

Cercheremo di apportare degli emendamenti in questi sensi, anche se molto più tempo sarebbe stato necessario per prepararli e condividerli. Auspichiamo che questa legge sia solamente il primo passo, il mero blow up dell’Art. 3 della nostra PDL quadro, e che altre possano seguire per la piena soddisfazione dei nostri cittadini. Certamente il fatto che questa legislatura sia agli sgoccioli non mi rende però particolarmente fiducioso.

In Commissione ci siamo astenuti su questo DDL. Ci riserveremo di dare voto positivo alla norma se verranno considerati con attenzione gli emendamenti e gli ordini del giorno che proporremo.

Qui il testo del DDL della Giunta n. 180 | Il testo della mia PDL n. 139

Relazione di minoranza Honsell alla PDLN n. 18 del Cons. Calligaris

Lo scopo di questa norma, sostenuta in modo fastidiosamente petulante dalla Sindaca di Monfalcone in Commissione con interventi interminabili concessi al di là di ogni consuetudine per un’audizione, è quello di restringere significativamente le condizioni per concedere il ricongiungimento familiare ai lavoratori stranieri regolari non comunitari sul nostro territorio. Gli inasprimenti sono: un maggiore tempo di residenza, ovvero almeno due anni solamente per presentare la domanda, e un maggiore reddito. Inoltre se il lavoratore è dipendente allora deve essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, che garantisca un reddito minimo maggiore più del doppio di quello attuale, incrementato di ulteriori quote corrispondenti al numero dei figli, oppure se il lavoratore è autonomo allora deve avere dichiarato un reddito da impresa di importo analogo negli ultimi due anni, asseverato da un commercialista ed assoggettato ad una verifica fiscale, all’incontrario, da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Riteniamo questa norma inaccettabile in quanto non conforme al diritto dell’Unione perché comprime se non addirittura viola il senso della Direttiva Europea 2003/86/CE del 22 settembre 2003 che nei considerando (2) e (4) riconosce il diritto di ricongiungimento familiare e dell’unità familiare come un diritto umano e libertà fondamentale, in quanto strumento necessario di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare di ogni individuo. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel Trattato.

Tutti i drastici inasprimenti creano condizioni più sfavorevoli ai cittadini stranieri rispetto a quelli comunitari, violando così in modo evidente il principio di non-discriminazione che è un principio dell’Unione. Ciò vale per l’innalzamento del limite del reddito da quello relativo alla soglia di povertà, per l’accesso alle misure socio-assistenziali, a quello per la concessione del patrocinio gratuito, che è ben superiore e per giunta assolutamente incongruente.  E ciò vale, anche, sia per la richiesta di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, che per la normativa italiana non può essere considerato più stabile di altre tipologie di contratti, quanto per la richiesta di una dichiarazione dei redditi da impresa pregressi.

Quanto rende però odiosa questa proposta di legge nazionale è che, nelle intenzioni dei proponenti, intende limitare il diritto al ricongiungimento e all’unità della famiglia a persone che comunque sono presenti in quanto lavoratori regolari sul territorio del nostro paese. I proponenti assumono quindi esplicitamente che ci siano persone costrette a lavorare nel nostro paese in condizioni così miserabili da non permettere loro nemmeno il diritto a poter vivere con la propria famiglia! I proponenti accettano quindi che nelle nostre città siano presenti lavoratori con contratti precari, temporanei, intermittenti o a chiamata, assunti a seconda del bisogno temporaneo delle aziende, a cui viene corrisposto un salario al di sotto della soglia che reputano di dignità, ma obbligano loro ad una condizione di solitudine.

Come Open Sinistra FVG riteniamo vergognoso, che sia tollerato un mercato del lavoro che si regge sullo sfruttamento di lavoratori così spudorato, e che si faccia leva proprio su queste condizioni di “quasi schiavitù” nell’interesse delle nostre aziende anche di stato, e al tempo steso si comprima un diritto umano, quello di poter vivere con la propria famiglia. Se davvero accettiamo noi tutti, e in primis la Sindaca, che a Monfalcone ci siano condizioni di lavoro così precarie da essere insufficienti per avere accesso ai diritti più fondamentali dell’uomo, allora il problema non è quello della difficoltà e dei costi di inclusione dei familiari dei lavoratori immigrati. Il problema non è quello degli oneri che ricadono sui servizi sociali di Monfalcone e di altri comuni. Il problema è che questa regione, e tutti noi, beneficiamo dei redditi prodotti da imprese che sfruttano lavoratori costretti a vivere in queste condizioni miserabili! Ne beneficiamo a loro spese, senza porci troppi scrupoli, anzi comprimendone i loro diritti! Alcune di queste imprese producono anche armamenti, che poi vengono venduti proprio a quei paesi i cui governi per poterle comperare affamano i propri cittadini costringendoli ad emigrazioni che li portano a venire sfruttati in condizioni sotto la soglia della dignità proprio da queste stesse imprese! Il problema è dunque etico! Non possiamo più accettare un mercato del lavoro con salari così bassi o poco stabili da non permettere a queste persone di poter vivere con la propria famiglia!

L’aspetto che fa più orrore in questa norma è che si puniscono proprio quei lavoratori che sono i più sfruttati. La norma infatti punisce solamente lavoratori, e ci tengo a sottolinearlo, assolutamente regolari e funzionali al sistema delle imprese e del lavoro, che non può quindi che dirsi infame.

Non è accettabile sul piano umano ed etico che prima di proporre una PDLN come questa, non si migliorino le condizioni dei lavoratori alle spalle dei quali maturiamo le quote di partecipazione fiscale che arricchiscono questa Regione.

In Commissione abbiamo espresso parere assolutamente contrario a questa norma che viola non solamente il diritto dell’Unione europea ma prima ancora il nostro senso di giustizia. Altrettanto faremo in aula.

Qui il testo fuoriuscito dalla Commissione 

Relazione su PDLN n. 16 Furio Honsell su certificato di nascita figli di soggetti stranieri

Questa Proposta di Legge Nazionale, presentata il 7 aprile 2022 e firmata da ben diciannove Consiglieri regionali, a cui altri due intenderebbero aggiungersi, è volta a ristabilire a pieno titolo a livello legislativo il diritto alla registrazione di nascita per ogni bambino nato in Italia. Questo diritto era assicurato dal Comma 2 dell’articolo 6 del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998 n. 286, emanato ai sensi della Legge 40/1998 c.d. Turco-Napolitano. Tale diritto fu però azzerato dall’introduzione della lettera g) Comma 22 dell’art. 1 della Legge 94 del 15 luglio 2009 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. Tale nuovo comma prevede infatti l’esibizione da parte dei genitori del permesso di soggiorno per depositare la dichiarazione di nascita e il riconoscimento di filiazione e dunque esclude di fatto il diritto ad un neonato ad avere un nome se i suoi genitori non sono regolari. La modifica del 2009 fa pertanto ricadere su una persona innocente responsabilità di altri.

Va detto, che in data 7 agosto 2009, ovvero un giorno prima dell’entrata in vigore della L.94/2009 in modo molto cursorio, indiretto e sfuggente, con la circolare interpretativa n. 19 del Ministero dell’Interno, questo requisito fu eliminato. Tale circolare si è però rivelata priva della forza necessaria a dare certezza giuridica a queste fattispecie in modo uniforme in tutto il territorio nazionale, vista la gerarchia delle fonti, oltre ad essere ovviamente insufficiente a convincere i migranti irregolari a riconoscere i propri figli per non rischiare l’espulsione o altre gravi forme di penalizzazione.

Appare quindi gravissimo che, per questo stato di cose, l’Italia non abbia ancora raggiunto sul piano legislativo il Target 16.9 dell’Obiettivo 16[1] dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, ovvero “Entro il 2030, fornire l’identità giuridica per tutti, compresa la registrazione delle nascite”. Garantire il diritto di registrazione alla nascita, e quindi del nome, è norma di civiltà. Per capire fino in fondo l’importanza della norma attualmente abrogata è sufficiente riflettere sulla circostanza che tutti i servizi di sostegno alla persona si fondano sulla premessa che questa possa essere rintracciata e ne possano essere verificati i bisogni; tuttavia, senza una certificazione di nascita, una persona è semplicemente considerata «giuridicamente inesistente». Inoltre lo stesso Codice civile all’art. 1 recita che “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”. E l’Art. 22 della Costituzione ne sancisce in modo incontrovertibile il valore: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”. Va rilevato altresì che l’Italia con la Legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, New York 20 novembre 1989) aveva ratificato una convenzione internazionale in assoluta contraddizione con l’art 1 comma 22 della Legge 94/2009.

La presente Proposta di Legge Nazionale vuole, dunque, ripristinare la norma abrogata nel 2009, riconoscendo così, tra le altre cose, il diritto dei bambini ad avere una certificazione anagrafica anche quando i genitori siano migranti privi del permesso di soggiorno. Riteniamo, infatti, che la certificazione anagrafica, al pari di tutti gli atti di stato civile e dei provvedimenti inerenti all’accesso ai pubblici servizi, debba essere considerata comunque un diritto fondamentale e inviolabile, che deve prescindere dalla condizione di irregolarità dei propri genitori, come peraltro richiede la stessa Agenda 2030 che individua proprio nel rispetto dei diritti fondamentali una delle condizioni per lo sviluppo sostenibile.

Con questa PDLN si intende ripristinare una norma di civiltà. Basti pensare a quanti italiani, tra gli anni sessanta e settanta, hanno dovuto trovare dolorose soluzioni, scegliendo tra clandestinità e separazione, a causa del fatto che lavorando come stagionali all’estero, non poterono riconoscere i propri figli, né tenerli con loro in base alle leggi allora vigenti nel Paese di destinazione. Si tratta del fenomeno dei cosiddetti «bambini nascosti» o «bambini clandestini», cioè di bambini talvolta lasciati ai nonni in Italia anche per lunghissimi periodi, costretti a vedere i propri genitori solo una o due volte l’anno oppure, più spesso, semplicemente nascosti dai propri genitori, al fine di evitare la separazione, con la grave conseguenza di essere privati di ogni diritto nel Paese di destinazione.

Sono numerosi i motivi per i quali si è ritenuto importante che il Consiglio Regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia faccia propria una Proposta di Legge Nazionale sulla tematica dei bambini invisibili. In primo luogo vi è una forte sensibilità da parte di varie personalità, associazioni e realtà culturali ed educative in regione sul tema dei diritti civili. Cito solo a titolo d’esempio, Augusta De Piero (prima vice-presidente donna del Consiglio Regionale della VI legislatura) che ha promosso numerose campagne, l’Università di Udine che cura il portale equal sul diritto antidiscriminatorio presso il Dipartimento di Scienza giuridiche, Rete Dasi, Movimento Focolarini FVG, Gruppo FVG – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni ecc.. Questo stesso Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità nella seduta N° 97 del 01/10/2019, la Mozione 92 dal titolo “Ottenimento del certificato di nascita per figli nati in Italia da persone non comunitarie irregolari”, e successivamente l’Ordine de Giorno n. 106 dal titolo “Attivazione di attività di informazione rivolte agli EE. LL e alla cittadinanza su riconoscimento dell’integrale esistenza giuridica di ogni soggetto nato in FVG” in sede di approvazione della lr. 26/2020 “Legge di Stabilità 2021”, che prevede l’impegno dell’amministrazione regionale a realizzare una campagna informativa rivolta agli Enti Locali per promuovere l’applicazione della circolare interpretativa n. 19/2009 del Ministero dell’Interno riferita alla legge 15 luglio 2009, n. 94. Inoltre per la posizione geografica che riveste, il Friuli Venezia Giulia ha sempre svolto un ruolo importante nei processi migratori che vedono come meta l’Italia, sia relativamente alla cosiddetta “rotta balcanica” che più recentemente in occasione degli eventi bellici in Ucraina. Il Friuli Venezia Giulia è la regione presso la quale la maggior parte dei migranti dal Kossovo, dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan, presenta la richiesta di asilo. Molto alto è anche il numero di lavori stranieri temporanei in questa regione ad esempio a Monfalcone ed in altri centri industriali. Infine da decenni vi è stato un flusso e una presenza costante di parecchie centinaia di Minori Stranieri non Accompagnati in Friuli Venezia Giulia e quindi vi è un forte impegno sulle problematiche relative al loro inserimento raggiunta la maggiore età. La nostra Regione è dunque più esposta di molte altre regioni italiane ai rischi di mancate registrazioni alla nascita.

Nel corso del dibattito in Commissione raccogliendo le sollecitazioni del Consigliere Calligaris, al fine di rendere più esplicito il senso di questa PDLN abbiamo proposto un emendamento modificativo che circoscrive, in modo più esplicito rispetto al precedente testo, l’obiettivo della PDLN 16. Il nuovo testo della PDLN 16 proposto e votato da tutti i sottoscrittori recita così:

Art. 1 (Modifica all’articolo 6 del decreto legislativo 286/1998)

Il comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo 286/1998, come modificato dall’articolo 1 comma 1 della presente Proposta di Legge nazionale, è così interamente sostituito:

<<2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per i provvedimenti inerenti alla registrazione della dichiarazione di nascita, alla filiazione, alla registrazione di matrimonio, all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti all’accesso a pubblici servizi e alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni e altri provvedimenti di interesse dello straniero, comunque denominati.>>.

Si auspica l’approvazione della PDLN N.16 così emendata, il cui scopo è quello di rendere esplicita nella normativa nazionale quanto già riconosciuto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sottoscritta dall’Italia e del Target 16.9 degli Obiettivi dell’ONU 2030 e dalle circolari interpretative del Ministero degli Interni.

Non mi rimane che chiudere questa relazione, che di fatto è un accorato appello, chiedendo a tutti i Consiglieri con il loro voto di fare propria la scritta che compariva sul muro della Scuola di Barbiana istituita da Don Milani “I care” e di riconoscersi in quella frase che spesso viene invocata da chi difende gli ultimi, come sarebbero i bambini privati del nome, “There is no them but there is only us.”.

[1] L’obiettivo 16 dell’Agenda 2030 ONU ha per titolo PACE, GIUSTIZIA E ISTITUZIONI SOLIDE – Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficienti, responsabili e inclusivi a tutti i livelli.

Qui il testo della PDLN n. 16 così come fuoriuscita dalla Commissione 

Relazione di minoranza Honsell su DDL 173 “Interventi a favore persone con disabilità”

Gli articoli del Titolo I della presente legge, che riprendono quelli della Convenzione delle Nazioni Unite del 13/12/2006 sui diritti delle persone con disabilità, enunciano i principi etici di solidarietà, rispetto e non discriminazione più alti che l’Umanità abbia sinora saputo esprimere nei confronti delle persone più fragili. Sono quindi agli antipodi della narrazione di Plutarco sulla sorte, presso il Monte Taigeto, dei bambini spartani nati imperfetti, narrazione peraltro ormai ritenuta storicamente non attendibile ma ancora ben presente nell’immaginario collettivo. Il registro di queste enunciazioni è intenso e commovente. Purtroppo lo stigma nei confronti dell’assenza di piena funzionalità nelle persone è ancora presente nella nostra società. Basti considerare la ridenominazione del Ministero della Pubblica Istruzione voluta dal governo di destra profonda che si è insediato qualche giorno fa, il 21/10/2022, che così recita: “Ministero dell’istruzione e del merito”. Ovvero se non si viene giudicati meritevoli si è considerati un rifiuto per tale nuovo ministero. Non sarebbe stato meglio denominarlo “Ministero dell’istruzione e del contrasto alla povertà educativa” se si fosse voluto interpretare davvero lo spirito della convenzione dell’ONU?

Nel Titolo II del DDL 173, le spiritualmente nobilissime enunciazioni del Titolo vengono ulteriormente declinate, e con altrettanta ambizione etica, in varie aree di intervento: salute, abitare e vita indipendente, cultura sport e turismo, istruzione e formazione, lavoro, trasporti, accessibilità allo spazio aperto e costruito e barriere architettoniche, diritto all’informazione e alla comunicazione. Come non condividere pienamente uno solo di questi articoli, che sono soprattutto degli auspici alla luce della situazione attuale che, anche se presenta aree di eccellenza, è molto disomogenea? Noi di Open Sinistra FVG abbiamo sempre invocato una rivoluzione copernicana nel considerare la disabilità: è l’ambiente e il contesto quando sono mal strutturati o inospitali a renderci tutti disabili e non la persona con disabilità singola a essere disfunzionale nell’ambiente! Abbiamo sempre ritenuto che l’inclusione della diversità fosse un arricchimento per tutti, e non solo per i diversi, in quanto siamo tutti diversi per qualche diversità. Si pensi ad esempio alla figura emblematica di Wanda Díaz-Merced l’astronoma cieca che sta fornendo nuovi strumenti di sonificazione[1] dei dati, che supererà alcuni limiti della più comune visualizzazione, indicando come non esiste un unico modo di esplorare e comprendere la realtà intorno a noi. E ricordiamo che inclusione è cosa ben diversa da omologazione, perché l’esclusione o ancor peggio la selezione meritocratica, secondo un concetto astratto di merito, è il vero orrore di ogni fascismo.

Gli articoli di questo Titolo II, ancorché encomiabili, lasciano però insoddisfatti per il loro carattere poco operativo. Risultano troppo generici, cercano di blandire il bisogno di inclusione con mere parole e promesse, hanno un sapore anòdino. Una legge, ancorché una legge quadro e di principio come questa, non può limitarsi alle enunciazioni. Ecco degli esempi.

All’articolo 5 si dichiara che la Regione fornisce un’adeguata risposta ai bisogni di salute lungo tutto l’arco della vita … forse si dovrebbe dire quali siano i servizi e come vengono implementati in termini di risorse sia finanziarie che professionali. All’articolo 6, comma 2, si parla di criteri premianti nelle politiche dell’abitare e si promettono priorità di selezione su linee di finanziamento esistenti o di futura introduzione, forse sarebbe opportuno dire quali siano e per quale importo, e indicare chi siano gli attori dell’ultimo miglio responsabili dell’abitare inclusivo. Sono le ATER? Hanno molta strada da compiere però. All’articolo 8 la Regione in accordo con i Comuni e i soggetti coinvolti, promuove tramite appositi atti di intesa, il coordinamento tra le politiche relative all’istruzione, alla formazione e al lavoro … nulla viene detto su tempi, impegni, risorse, professionalità disponibili. Si sarebbe almeno potuto imporre un criterio stringente per l’accesso ai contributi Regionali da parte di scuole o enti privati. Nulla si dice all’articolo 9 su come potenziare le assunzioni di categorie protette, o quali azioni porre per contrastare lo stigma che spesso subiscono tali lavoratori. Anche qui si sarebbe dovuto indicare quali saranno i criteri da rispettare per accedere a qualsiasi forma di contributo da parte delle aziende, comprese quelle da loro coinvolte in subappalto. Ci si limita invece a parlare ancora di atti di intesa da elaborare in un tempo futuribile. L’articolo 11 sulle barriere architettoniche si limita a promettere l’emanazione di un regolamento. Ma non c’è già una norma la 13/1989 al riguardo? Encomiabile all’articolo 12 la volontà di abbattere le barriere di comunicazione e tecnologiche, ma come si intende operare concretamente? Forse la prima barriera comunicativa sarebbe riformulare l’articolo 12 stesso.

L’articolo 13 definisce il ruolo fondamentale di raccordo che dovrà svolgere la Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Ovviamente anche qui tutto è condivisibile, ma l’esperienza insegna quanto importante sia l’individuazione di strumenti di partecipazione più capillari da parte dei portatori di interesse e delle loro famiglie, soprattutto quando i servizi per la disabilità sono gestiti attraverso strutture sanitarie, che soffrono di un cronico deficit di ascolto e sono soggette ad un’organizzazione gerarchica e dirigistica. Il ruolo anche terapeutico del dialogo, come previsto anche dalla Legge 2197/2017, è ben lontano dall’informare profondamente la prassi medica.

In conclusione il Titolo II è un documento certamente da apprezzare negli auspici, ma rischia di avere un carattere troppo speculativo, decisamente metafisico. E infatti, solamente nel Titolo III emerge la vera sostanza di questa norma. Dopo l’introduzione, piuttosto generica, nel suo Capo I, di un osservatorio (ma non era forse Riccardi l’Assessore a non volere gli osservatori? Sono lieto che abbia finalmente cambiato idea!) e la promessa che verrà redatto un piano regionale della disabilità, in un futuro lontano in quanto dovrà recepire anche i contributi dei progetti obiettivo previsti all’articolo 16, si arriva finalmente al Capo II, articolo 17, che è il vero cuore del DDL 173!

Ebbene, ci è stato detto in Commissione, che al fine di rispettare il DPCM 12/01/17, che impone l’omogeneità dei Livelli Essenziali di Assistenza sociosanitaria, già richiamato all’articolo 5, comma 2, si attribuisce in questo articolo a partire dal 01/01/2024 alle Aziende Sanitarie regionali la titolarità dei servizi e degli interventi relativi alle persone con disabilità! In sostanza si dà il via libera alla sanitarizzazione della disabilità! Ma come si trasformeranno le aziende sanitarie (alcune addirittura ospedaliero-universitarie) anche in aziende socio-sanitarie? In molte aree della nostra regione ciò sarà tutt’altro che scontato e certamente anche laddove esisteva già la delega, i nuovi meccanismi di finanziamento e di partecipazione, comporteranno un netto ridimensionamento della capacità di guida e di orientamento dei Comuni e l’intero sistema subirà un forte sconquasso. Che la cosa faccia tremare le vene e i polsi, se mi è concessa quest’endiadi dantesca, anche ad un Assessore così sicuro di sé è evidente. Viene infatti concesso un anno di sperimentazione, il 2023, nel quale non è chiarissimo che cosa dovrà avvenire anche perché essendo un anno elettorale, è prevedibile che l’azione amministrativa vera e propria non inizi tanto presto. E come purtroppo avviene tutte le volte che si traguarda l’obiettivo in un futuro abbastanza remoto, questa scelta permette a tutti di non prendersi impegni precisi e mette al riparo da ogni responsabilità se non sarà raggiunto quanto delineato. In verità, ci si chiede se ciò sarà davvero un male!

L’aspetto più critico di questa legge è che, pur essendo prevista la compartecipazione finanziaria dei Comuni, che è ribadita sin dall’inizio, all’articolo 5 comma 3, il loro ruolo sembra davvero indebolito, se non addirittura subordinato a quello dell’Azienda Sanitaria di riferimento. Fino ad oggi buona parte dei finanziamenti per i servizi e le prestazioni per la disabilità erano in mano ai Comuni, in quanto erano direttamente assegnati a loro, e quindi passavano attraverso il filtro delle deliberazioni comunali. Il DDL 173, invece, assicura ai Comuni solamente la pianificazione condivisa, ai sensi dell’articolo 22 comma 1. Come avevo già ribadito, esistono difficoltà strutturali nello stabilire un dialogo paritetico con una struttura così verticalizzata come un’Azienda Sanitaria. E queste, soprattutto negli ultimi anni nei quali hanno dimostrato più attenzione ai bilanci che alle liste di attesa, sembrano essere guidate da una fredda logica aziendalistica, che mal si concilia con la modalità operative di un Comune che è essenzialmente ente esponenziale di una comunità e della sua voce collettiva.

Nel dibattito in Commissione non sono rimasto assolutamente convinto che l’attribuzione della titolarità di servizi e interventi per la disabilità alle Aziende Sanitarie fosse l’unico modo di dare corso al DPCM del 2017. Cercheremo dunque, con degli emendamenti di irrobustire il ruolo dei Comuni nel raggiungere l’intesa con le Aziende Sanitarie.

La norma si chiude con ulteriori enunciazioni di principio assolutamente condivisibili, ancorché piuttosto general-generiche sui Sevizi di integrazione lavorativa, sulla collaborazione con il Terzo Settore e sul concetto di integrazione socio-sanitaria, limitandosi circa quest’ultima però a parlare solo di momenti di confronto e di coordinamento. Il DDL ribadisce infine il concetto di progetto di vita individuale e conferma lo strumento del budget di salute. Ancora una volta però l’altitudine dalla quale si contempla questo fèrvere di previste attività non permette allo stato attuale della norma di assicurarne l’efficacia.

Le norme finanziarie a volte, cozzano nella loro esattezza per il 2024 con la genericità degli articoli ai quali si riferiscono, come ad esempio all’articolo 10 e i relativi 475 milioni per i trasporti. Se ne può intuire l’origine, ma allora se ne deduce anche la scarsa ampiezza di orizzonte.

La clausola valutativa è posta all’articolo 27 per illudere o tranquillizzare i Consiglieri che ci sarà comunque un controllo da parte del Consiglio.

Dopo questa breve anatomia della norma si rileva con preoccupazione la pletora di atti di intesa, atti di indirizzo, accordi, regolamenti di attuazione, piani attuativi, piani di sviluppo strategico, piani regionali che dovranno discendere da questa norma e darle sostanza, oltre ai processi di condivisione e accordo, tutt’altro che scontati, che dovrebbero portare a tali atti. Se tutto deve ancora essere precisato a cosa serve questa norma? Solamente a dire a chi spetterà l’ultima parola?

In questo testo difficilmente non si trova una parola chiave che abbia illuminato il dibattito nazionale e internazionale più progressista in tema di disabilità, tanto questo DDL è a livello alto nei suoi princìpi. Al tempo stesso però è talmente concreto e brutale nell’attribuzione delle titolarità della gestione dei servizi e prestazioni per la disabilità alle Aziende Sanitarie, che siamo preoccupati che tali principi possano non essere realizzati. Dopo la riforma imperialista del 2019, le Aziende Sanitarie sono ancora boccheggianti nel cercare di definire e di porre in essere persino il loro piano aziendale ospedaliero, pertanto si dubita che possano davvero riuscire in questo demiurgico compito universale.

Questa legge è certamente un egregio esercizio di stile nella parte iniziale, e su tale parte esprimiamo parere favorevole. Ma nella seconda parte la genericità delle promesse ci spaventa. Preoccupa che il ruolo del privato sociale, e del terzo settore, che è così significativo per la sua capacità di sperimentazione, di innovazione e di prossimità – tutte  caratteristiche che hanno fatto di questa regione un punto di riferimento nazionale in tema di inclusione si pensi solo alla Comunità Piergiorgio o ad Infohandicap che comparivano esplicitamente nella Legge Regionale n. 41 del 1996 – sia  relegato solamente a qualche menzione nei tavoli di confronto e ad un generico articolo 20 nel quale si parla di futuribili “adeguate forme di regolazione dei rapporti”.

Preoccupa che gli strumenti di partecipazione non siano definiti e garantiti con maggiore precisione.  E infine preoccupa che l’intersettorialità di questa legge, che non riguarda solamente la sanità e il sociale ma anche la scuola, la formazione, il lavoro, la mobilità, l’abitare non preveda momenti di coordinamento inter-assessorile come momento di coordinamento. Né preveda che vengano assicurate risorse di personale adeguatamente formato, magari d’intesa con le università, attraverso nuovi corsi di laurea socio-sanitari, o altri corsi di formazione. L’inclusione, che è cosa ben diversa, è ben più etica e nobile dell’integrazione e dell’omologazione, si raggiunge solamente attraverso il rapporto umano. Si dubita che una delega ad una mastodontica azienda possa permettere di realizzare quel benessere relazionale che poi è l’unica vera declinazione del concetto di salute.

Per questi motivi, a seconda di come si svolgerà il dibattito in aula e verranno ripresi e valorizzati i contributi specifici che proporremo, ci riserviamo di esprimere parare favorevole alla presente legge come Open sinistra FVG.

[1] https://youtu.be/L04ZeJKG_Iw

Qui il testo del DDL 173 fuoriuscito dalla Commissione