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Insulti a Consigliera comunale Paviotti: una mia riflessione

E’ inconcepibile che non si riesca ancora a cogliere appieno la differenza sostanziale che passa tra un giudizio politico – anche severo – e l’insulto personale. La consigliera Paviotti ha espresso opinioni politiche sensate e condivisibili in materia di sicurezza, sottolineando come su questo tema anche nella città di Udine si sia costruita una narrazione in gran parte basata su pregiudizi ed emozioni più che su precise cognizioni e questo le è valso una grandinata di insulti personali che l’hanno ferita come cittadina e soprattutto come donna.

Debolissima e troppo ambigua appare la difesa della Paviotti da parte del Sindaco Fontanini, incapace di prendere le distanze dagli insulti senza contemporaneamente inserire elementi di dubbio e discrimine giungendo ad affermare – in base a quanto riporta il Messaggero Veneto – che esistono argomenti che forse è bene non toccare, altrimenti “gli insulti arrivano”. E’ una tattica vecchia alla quale potremmo rispondere ricordando che il Sindaco Fontanini ha costruito la sua intera campagna elettorale su una emergenza sicurezza che non esisteva, diffondendo soprattutto tra gli strati più deboli un senso di paura e insicurezza con finalità di mera strumentalizzazione elettorale.

Il tema di una politica dai toni più civili e meno laceranti è ormai sul tavolo e tocca a tutti – anche al Sindaco di Udine – scegliere da che parte stare. Senza distinguo.

Qui sotto l’articolo del Messaggero Veneto:

Donne in Iran, appello europeo

L’obiettivo è arrivare al Parlamento Europeo nella maniera più compatta possibile: la battaglia a difesa della libertà delle donne in Iran, ancora una volta, parte da Pordenone e mira a coinvolgere nuovamente la politica europea. Questo l’obiettivo dell’incontro tra il pordenonese Taher Djafarizad (presidente dell’associazione Nedaday) e Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano che, da settembre, è vicepresidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento Europeo. L’incontro si è tenuto venerdì scorso, a Milano, grazie alla mediazione dell’ex sindaco di Udine, Furio Honsell.

NASRIN LIBERA
L’appello riguarda Nasrin Sotoudeh, l’avvocata iraniana, premio Sakharov 2012, condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate per essersi battuta per il diritto delle donne iraniane a non indossare il velo. «Abbiamo chiesto una discussione sul caso e un eventuale mobilitazione, come già accadde anni fa per Sakineh, – spiega Djafarizad – che fortunatamente venne poi liberata. Basta con i soli striscioni, il Parlamento Europeo è uno degli interlocutori principali dell’Iran e ha la forza per poter essere ascoltato. Pisapia ha accolto il nostro appello. Ora vogliamo coinvolgere il maggior numero di eurodeputati». 
La solidarietà a Sotoudeh ha portato anche il Comune di Pordenone ad appendere uno striscione in sua difesa. La Francia si è già mobilitata per lei. «Oltre alla sua – insiste Djafarizad – chiediamo che il Parlamento Europeo pressi per la liberazione anche di centinaia di donne iraniane dei mercoledì bianchi, che manifestano contro l’imposizione di indossare il velo, scendendo per le strade col velo bianco e poi scoprendosi il capo. Il regime iraniano di recente ha ricominciato a incarcerare genitori o parenti di dissidenti e attivisti. Come accadde 15 anni fa anche a mia madre, ottantacinquenne, che venne portata in prigione per tre giorni per colpire me» ricorda Djafarizad.

COME MIA MADRE
«L’obbligo del velo non fa parte della tradizione dell’Iran. Prima del 1979, quando ancora vivevo lì, la maggioranza delle donne non lo indossava e andava ad assistere alle competizioni sportive». Laureata in diritto internazionale, Nasrin Sotoudeh è stata arrestata la prima volta nel 2010, condannata l’anno successivo a 11 anni di carcere, rilasciata anzitempo nel 2013. Nel giugno 2018 è stata nuovamente condotta in carcere, accusata di reati legati alla sicurezza nazionale, condannata nel 2019 a 33 anni di carcere e 148 frustate.


Autrice: Valentina Silvastrini | Fonte: Il Gazzettino

Un mio commento al Disegno di Legge 63 di modifica alla Legge regionale 19/2000

«La Regione vuole mascherare il rimpatrio dei profughi inserendo il diritto di ritorno volontario assistito nella modifica della legge sulla cooperazione internazionale». Ad accusare la giunta di confondere «il volontariato con l’ossessione sui migranti» è il consigliere d’opposizione, Furio Honsell (Open Fvg) secondo il quale se la proposta di legge non sarà emendata potrebbe rischiare l’ennesima bocciatura dalla Corte Costituzionale.

L’accusa, condivisa anche da alcune associazioni presenti sul territorio, è pesante e l’assessore regionale, Pierpaolo Roberti, la respinge immediatamente al mittente. La nuova legge approderà in aula entro fine ottobre per procedere alla pubblicazione dei bandi e all’assegnazione di 1,5 milioni di euro.

Il caso è scoppiato in commissione dove l’assessore Roberti ha illustrato la modifica di legge che tra le finalità prevede «il diritto a rimanere nel proprio paese di origine con adeguate qualità di vita e con la libertà di non migrare» e il «diritto al ritorno volontario assistito e alla reintegrazione nella propria terra di origine».

Ed è su quest’ultima libertà a soffermarsi Honsell secondo il quale non è corretto parlare di rimpatri visto che non ci sono progetti di cooperazione internazionale con i Paesi da dove arriva il maggior numero di migranti. Vale a dire Pakistan e Afghanistan. «Non ha senso – insiste Honsell -, nessuna delle associazioni può lavorare in Afghanistan. La Regione sta confondendo il volontariato con la questione dei migranti». Alla luce di tutto ciò, Honsell non esclude una possibile bocciatura della norma se sarà approvata dall’aula. E come se non bastasse, Honsell contesta pure l’eliminazione della Conferenza regionale sulla cooperazione internazionale sostituita dai tavoli di lavoro e la riduzione del numero dei componenti, da 4 a 1, della commissione consultiva.

Che la Corte Costituzione possa bocciare la norma l’assessore non lo esclude, Roberti lo prevede perché, sottolinea, «la Corte Costituzionale sta impugnando tutto», quello che invece Roberti non accetta sono le accuse di voler mascherare i rimpatri dei migranti con la cooperazione internazionale. «Tutte queste misure – spiega – aiutano le persone a restare o a rientrare nel paese d’origine, non capisco quale sia il problema». Roberti assicura che «la Regione può sostenere i rimpatri volontari, la competenza dello Stato è solo sui rimpatri forzosi». Esclude, inoltre, che la nuova funzione inserita nella proposta di legge sulla cooperazione internazionale sia legata all’utilizzo dei fondi già previsti dalla Regione per i rimpatri volontari. «Quando parliamo di diritto a tornare nel Paese d’origine – aggiunge – parliamo di progetti volti a garantire il diritto di tornare in un luogo dove potrebbero essere mutate le condizioni di vita, il risultato della cooperazione internazionale deve essere anche questo».Detto tutto ciò, l’assessore ci tiene a far notare la scarsa condivisione del documento da parte delle associazioni di volontariato operative sul territorio. «Stiamo parlando di circa 200 realtà alle quali abbiamo inviato un questionario per raccogliere eventuali suggerimenti, sa quante ci hanno risposto? Una decina». Analoga la situazione registrata in commissione dove erano state invitate in audizione 36 associazioni che nella passata annualità avevano ottenuto i contributi: «Di queste – insiste Roberti – si sono presente in 11. È strano che questi due punti vengano contestati quando molte associazioni, tra cui Oikos e le Caritas, avendo già i collegamenti con il mondo dell’accoglienza sul territorio, potrebbero promuovere i progetti di rimpatrio volontario».

Fonte: Messaggero Veneto | Autore: Giacomina Pellizzari

La riduzione dei parlamentari e l’orologiaio di Popper

Forse in Italia verrà cambiata la Costituzione: il numero dei parlamentari verrà ridotto del 37% rispetto all’attuale, ma ben pochi ne parlano. Questo colpisce perché risuona ancora nelle orecchie il clamore di quando ci fu l’ultimo referendum costituzionale che portò alle dimissioni del governo allora in carica. Tante voci, da tante parti politiche che oggi tacciono, criminalizzarono allora, chi dichiarò di votare sì. Oggi silenzio. Chi propone l’attuale riforma, i movimentisti dei 5 stelle, vuole coronare l’attacco a quella che chiamano la “casta” e pedissequamente quasi tutte le altre forze politiche li seguono. Ogni tanto si sente favoleggiare dei mitici risparmi che questa riforma comporterà. Ma non penso ci sia nulla di meno appropriato come giustificazione. Il solo Montecitorio pesa un miliardo circa sul bilancio annuale dello Stato, ma solamente 150 milioni sono appannaggio dei parlamentari in carica e dei loro assistenti. Si tratterebbe quindi solamente di una riduzione di spesa del 5% rispetto alla spesa attuale e non certamente del 40%. A parte la riduzione dei parlamentari, non sono infatti stati proposti altri tagli. Se davvero si voleva spendere di meno bastava ritoccare gli stipendi dei parlamentari lasciandone intatto il numero.Colpisce inoltre che la proposta di taglio in discussione non presenti giustificazione circa il criterio con il quale è stato individuato il numero. Forse si è voluto solamente raggiungere un numero tondo, come quando dal salumiere si compra il salame: mi tagli quattro etti per favore. «Uno vale uno» che viva in un’area svantaggiata o meno. Evidentemente chi propone questa modifica non si è mai veramente confrontato con la rappresentanza. Mi sembra gravissimo questo stato di cose. Oltre alla leggerezza politica e all’assenza di ragionamento, è grave l’effetto che produrrà sul percorso lungo il quale sembra avviata la nostra democrazia.Se la Costituzione italiana verrà così modificata, domani ci sarà una riduzione della rappresentanza in favore di meccanismi pseudodemocratici che riassumerei in quella frase, che tante volte abbiamo sentito proclamare trionfalisticamente nell’ultimo anno: «deciderà Rousseau!». È in gioco in questo voto l’esito dello scontro tra la “democrazia diretta” e la “democrazia rappresentativa”. Sotto questa luce va dunque valutata la modifica alla Costituzione in discussione.Viviamo in un’epoca strana nella quale viene chiamato “casta” chiunque sia esperto di qualcosa. Certamente «il sapere è potere» come diceva Francesco Bacone nel XVI secolo, e certamente c’è stato e forse sempre ci sarà chi se ne approfitterà, ma per scongiurarne gli abusi, non si deve celebrare l’ignoranza e la superficialità. mio avviso la democrazia rappresentativa è superiore a quella diretta per almeno quattro motivi.La democrazia diretta non permette il compromesso mentre questo è l’unica formula che assicuri il pluralismo, che poi altro non è che biodiversità politica. La democrazia digitale non potrà che sancire sempre la dittatura della maggioranza. Non assicura un margine di spazio per modulare le tesi. Sempre che poi non ci sia un uso distorto di piattaforme digitali private che, nemmeno in linea di principio permettono un riconteggio dei voti assolutamente sicuro. La democrazia rappresentativa vive per sua natura di coalizioni. Nessuno può invocare i pieni poteri, non lo può fare l’autorità, ma nemmeno il Popolo. Più numerosi sono i rappresentanti, più è ampia la tutela di tutti, perché è maggiore il margine di miglioramento attraverso il compromesso. E questo soprattutto se i rappresentanti sono liberi, quindi non hanno vincolo di mandato.La democrazia rappresentativa è l’unica che assicura l’innovazione mentre i populismi sono sempre reazionari e massimalisti. Il metodo scientifico, il migliore metodo che abbiamo, si basa invece su ripetuti tentativi ed errori. E sappiamo troppo bene di quanta innovazione ci sia bisogno oggi a fronte delle sfide globali sia demografiche che ambientali. La democrazia rappresentativa è l’unica che permette l’approfondimento della problematica. Il populismo si deve per forza basare sulla minima conoscenza condivisa. Diventare esperti è difficile e lo diventano in pochi. Nessuno può essere tuttologo, men che meno le masse.La democrazia rappresentativa mantiene la separazione tra il controllore, il popolo, e il controllato, i suoi rappresentanti. La democrazia diretta fa coincidere i due aspetti. La democrazia rappresentativa ha il pregio di non essere mai perfetta. E nemmeno di credere nell’ingenua utopia che ci sia il Governo perfetto. Credere di poter raggiungere la perfezione è dannoso, la verità assoluta non esiste nella scienza. La perfezione nelle forme di Governo coincide con la dittatura, l’utopia è una distopia. Ricordo qui l’argomento dell’orologiaio di Popper. Nei secoli del razionalismo, XVII e XVIII, l’immagine della precisione assoluta, del meccanismo perfetto era quella dell’orologio. Le sfere celesti si muovevano come nel più esatto degli strumenti. Ma se chiedete a un orologiaio come ottenga l’esattezza dei suoi meccanismi vi risponderà che la sua arte sta proprio nel non fare i meccanismi perfettamente precisi, perché altrimenti l’attrito non permetterebbe alle ruote di girare. Il nostro ideale di precisione si basa dunque proprio sull’imperfezione. Solamente la democrazia rappresentativa può essere tale, proprio perché non sarà mai perfetta, ma vi tenderà. Una democrazia che rivendicasse la sua perfezione sarebbe già una dittatura.Per questi motivi ridurre il numero di parlamentari senza criterio, se non quello banale che adoperiamo nell’acquisto dei salumi, è pericoloso.Il minor numero di rappresentanti darà forse un maggior potere al singolo parlamentare rispetto ad oggi, ma certamente i cittadini perderanno in rappresentatività, nell’illusione di una democrazia più diretta. Spero che qualcuno oggi se ne avveda per il bene della democrazia. E che, comunque vada, si inizi a riflettere sui necessari riequilibri.

Fonte: Messaggero Veneto | Autore: Furio Honsell