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Relazione Honsell su Assestamento di bilancio 2021 – 2023

Avendo già predisposto per questa sessione di Consiglio relazioni di minoranza relative sia al DEFR che al Rendiconto Generale, non svolgerò di nuovo i temi che ho analizzato in quei documenti, limitandomi a dei riferimenti nell’auspicio che siano stati letti precedentemente e che vengano tenuti presente nella lettura della presente relazione.

L’avanzo di amministrazione non vincolato utilizzabile (applicabile – in gergo) quest’anno ammonta a ben 362M€ e, da quanto abbiamo appreso, potrebbe rivelarsi anche maggiore mano a mano che si libereranno altre risorse grazie a interventi statali mirati ad obiettivi che attualmente hanno coperture regionali oppure derivanti dal PNRR. La somma è dunque di un ordine di grandezza maggiore di quella dell’anno scorso e qualificherà il 2021 come un anno di straordinarie risorse. È un effetto paradosso della pandemia! La disponibilità di risorse senza precedenti, combinate con la deroga a numerosi vincoli, a incominciare dal de minimis europeo, e accompagnate dalla revoca di tanti blocchi, a incominciare da quello assunzionale, ci porterà a ricordare questo 2021 come uno dei periodi, per quanto doloroso e amaro, tra i più pingui e felici finanziariamente. Dovremmo esserne all’altezza!

Ci saremmo pertanto immaginati che la Giunta Fedriga intendesse varare interventi che lasciassero il segno, anche come un simbolo di rinascita dopo la tragedia e lo sconforto della pandemia. Non certo nella forma celebrativa di una, per così dire, Colonna Massimiliana in Piazza Oberdan, ma certamente un paio di interventi forti e strategici che andassero ad affrontare le principali criticità evidenziate dagli indicatori che accompagnano il DEFR 2022, questo sì, ce lo aspettavamo, anzi lo pretendevamo. Per entrare subito in medias res, ne indico alcuni urgenti: la redazione e avvio di un PAESC regionale (Piano attuativo per l’energia e il clima) che tuteli lo straordinario patrimonio di biodiversità di questa regione per mitigare le terribili conseguenze che il riscaldamento globale potrebbe riservarci, creando al tempo stesso nuovi posti di lavoro ad alto contenuto di conoscenza; un piano di infrastrutturazione digitale a banda larga, che raggiungesse capillarmente tutti i territori, soprattutto quelli montani o anche urbani che sono ancora zone bianche oppure a fallimento di mercato, offrendo così pari opportunità di sviluppo a tutti i territori – e  non solamente all’angiporto triestino, che si vede dalle finestre del palazzo della Regione in Piazza Unità; un piano per la riqualificazione delle aree dismesse, in primo luogo quelle ex-militari – quasi  100Km2 sdemanializzati sono già in capo ai comuni che non riescono a valorizzarle –potrebbero costituire un polmone ove produrre energie alternative senza consumo di suolo; un piano per valorizzare il turismo lento di prossimità e sostenibile in montagna riqualificando rifugi, malghe, baite, sentieri, ferrate, ecc.; un piano straordinario per la formazione medio alta dei giovani, con abbattimento delle tasse universitarie, e per potenziare ulteriormente il dottorato di ricerca così da coprire il 100% delle vocazioni, nonché programmi di riqualificazione per i lavoratori che saranno a rischio nel prossimo decennio – tipicamente l’automotive e il suo indotto.

Purtroppo la proposta che abbiamo ricevuto dalla Giunta è invece strategicamente molto deludente e dovendola qualificare con un aggettivo direi che è “anonima” e priva di obiettivi ambiziosi. Insomma è una delle solite leggi di manutenzione/omnibus che hanno caratterizzato la strategia legislativa della maggioranza in questa XII legislatura regionale. Visto che ormai siamo quasi agli sgoccioli della legislatura quanto a programmi, era l’ultima occasione per lasciare un segno, che quindi non ci sarà.

Il cospicuo avanzo di amministrazione è stato infatti polverizzato in un duplice senso. Da un lato le risorse sono state spalmate sulle varie direzioni in modo alquanto erratico, dall’altro questo autentico fiume di denaro è arrivato a “ondate”, 194M nella prima ondata, ovvero quella discussa nelle Commissioni di merito, ulteriori 70M nella seconda, sotto forma di variazioni di bilancio illustrate in sede di I Commissione allargata, e una presumibile terza ondata di entità e direzioni ancora ignota al momento della scrittura di questa relazione.

Proprio questo atteggiamento reticente della Giunta, volto a ritardare il momento nel quale è offerto il quadro generale, ha indotto tutta l’opposizione ad una sollevazione di protesta che si è tradotta nel non esprimersi nelle commissioni di merito su un articolato che era provvisorio. Ancora una volta non c’è stato pertanto rispetto istituzionale da parte della Giunta nei confronti del Consiglio, il cui lavoro è stato oggettivamente svilito. Inoltre, questa tecnica di rinviare ad oltranza obbligherà il Consiglio ad un tour-de-force l’ultima settimana di luglio, che certamente favorirà la superficialità e non contribuirà al “legiferare bene” tanto frequentemente proclamato da Lei Presidente. Penso che questo atteggiamento non sia occasionale ma, come discuterò di seguito, intenzionale e la conseguenza di un certo modo di interpretare la politica.

Certamente, di primo acchito un assestamento come questo, che elargisce a piene mani risorse a quasi ogni tipologia di soggetti, potrebbe sembrare soddisfacente, ma a guardare bene è del tutto rapsodico e quindi rischia di non essere efficace. Tra gli interventi principali segnaliamo i seguenti. Numerose graduatorie di bandi regionali sono state estese, alcune fino a esaurimento, presso tutte le direzioni, ancorché il criterio con il quale è stata decisa l’estensione o meno appaia alquanto erratico; sono stati rimpinguati svariati fondi di rotazione con decine di milioni; sono state finanziate decine di iniziative turistiche e non, ma comunque milionarie o plurimilionarie: Interporto di Trieste, Arta, Grado, Arcidiocesi Udine, Monte Lussari, COSEF, EYOF, ecc. ecc. tanto per non fare interventi puntuali; decine di milioni sono stati assegnati a sostegno di varie categorie di imprese  da quelle alberghiere a quelle lattiero-casearie, ma la scelta di queste categorie e l’esclusione di altre non è stata motivata;  sono stati incrementati i contributi per la prima casa per 40 milioni e per la viabilità per 50; ulteriori 10M vanno all’edilizia scolastica (dove?); viene aggiunto qualche milione per la rottamazione di veicoli (con quale equità nel criterio?); due assegni di una ventina di milioni nella prima ondata e di 25 milioni nella seconda non vengono fatti mancare alla Direzione Salute; segnaliamo infine una decina di milioni per l’infrastruttura informatica, nonché decine di milioni per partecipazioni azionarie.

Tutti contenti? Non proprio. Alla luce della scarsa capacità delle Direzioni, non dico di spesa ma nemmeno di impegno, come evidenziato nel Rendiconto 2020, dovuta principalmente alla mancanza di strategie, prevedo che l’avanzo di amministrazione sarà ancora più cospicuo il prossimo anno, e centinaia di milioni si parcheggeranno nelle pieghe del bilancio, rimanendo intonsi per la gioia del luglio prossimo.

Ancora una volta non vengono chiariti i criteri utilizzati nell’estendere le graduatorie e nel definire i bandi, che certamente non verranno parametrati all’effettivo bisogno, e piovendo sul bagnato, andranno ad aggravare le disparità e la povertà relativa nella nostra regione. Cito tre esempi clamorosi.

Il primo riguarda la Sanità. Ho definito assegni, ancorché cospicui, gli stanziamenti ricevuti da quella direzione per la genericità con la quale sono stati allocati: solamente in autunno infatti si potrà avere il quadro dell’andamento finanziario delle aziende. Dunque perché queste misure adesso? Intanto, per la gioia della sanità privata convenzionata, arrivano annunci sull’assegnazione di decine di milioni a loro destinati con la scusa della riduzione delle liste di attesa e della riduzione dei rimborsi ad altre regioni. Ma proprio non si poteva invece potenziare la sanità pubblica del FVG con quella cifra?

Il secondo riguarda l’ennesima deroga a Tarvisio per l’ormai famosissimo ex-PISUS. Potrebbe essere rubricata solamente come l’esempio per antonomasia di cattiva amministrazione, se non fosse emblematica del fatto che anche gli enti locali rischiano di accumulare denaro che non riescono a spendere, soprattutto a seguito del fatto che non esistono più centri di decisione e spesa sovracomunali. Gli EDR e le comunità di comuni non sono in grado di svolgere quel ruolo, come ho più volte dichiarato.

Infine, en passant, scivolano altri 5M sulla benzina agevolata. Ma come lo devo spiegare che questi contributi di decine di milioni sono un abbaglio economico, nonché una violazione delle promesse di de-carbonizzazione? Questi interventi fanno lievitare di fatto il costo della benzina in regione, nell’interesse quasi esclusivo delle multinazionali che lo fissano al netto del contributo. Pochissimi sono ormai quei distributori che gestiscono in proprio l’acquisto della benzina (forse solo quelli frequentati da qualche assessore). I benzinai sono dipendenti e il prezzo è fissato altrove con sistemi di machine learning. Si vuole abbassare il costo dei combustibili fossili? Non diamo più contributi, e questo scenderà insieme agli auspicati consumi!  Piuttosto si cerchi di sostenere davvero le imprese regionali di autotrasporto che sono penalizzate dai vantaggi competitivi di altri territori!

È comunque difficile che molte di queste risorse non facciano contenti i numerosi clienti di questa Giunta, clientes nel senso romano del termine, ovviamente. Invece di ricondurre l’applicazione di oltre 300M di avanzo ad una strategia organica questo DDL sembra l’esito delle salutationes matutinae ricevute dai vari assessori. Per quanto l’Assessore Zilli abbia più volte dichiarato la sua disponibilità a considerare richieste anche da parte dell’opposizione, personalmente non credo che il problema per me sia quello di riuscire a ritagliarmi una fettina della grande torta, e spostare alcune risorse “qua piuttosto che là”, anche se certamente proporremo degli emendamenti di alto profilo. La mia vera richiesta sarebbe piuttosto meta-finanziaria. Il problema non è spalmare, più o meno a pioggia, risorse ma individuare gli obiettivi e definire una strategia per raggiungerli. Non si evince infatti una coerenza tra DEFR e DDL 141.

Ad esempio, ben vengano le risorse per le aziende sanitarie, ma solo se queste non vanno in larga parte ai privati a compensazione delle prestazioni non svolte nelle aziende pubbliche. Bene i soldi per i fondi di rotazione ma ci deve essere un piano per affrancare finalmente la nostra impresa dal ruolo debole di terzista per altre aziende che ha attualmente. Bene assegnare i soldi allo sviluppo rurale delle imprese agricole, ma dobbiamo evitare che vadano tutte a finanziare l’acquisto di fitofarmaci e fertilizzanti, il cui utilizzo ci vede ai primi posti in Italia come si evince dal DEFR, e non a incentivare invece la nascente agricoltura biologica. Bene finanziare la viabilità, ma non se si va contro la volontà delle comunità con straordinari consumi di suolo come per la circonvallazione di Aquileia o non si tiene conto delle richieste delle comunità come nel caso di Rigolato.

Segnalo infine sul tema della sostenibilità, che ancora una volta non sono finanziate opere che vanno della direzione dell’efficientamento energetico. E qui mi riferisco ad esempio agli impianti di cogenerazione che, come quello che proposi per Udine Sud e tramontò con le UTI, permetterebbero lo sfruttamento di energia altrimenti sprecata da industrie energivore come le acciaierie. Ancora manca un piano per eliminare l’utilizzo del BTZ negli impianti di riscaldamento a beneficio della qualità dell’aria.

Con inquietudine va sollevato l’appello disperato del CAI che chiede di fermare lo scellerato programma di quasi 57M volto alla realizzazione di impianti sciistici di bassa quota, che consumerà irrimediabilmente l’ambiente, riducendo la biodiversità – tutte opere destinate ad essere abbandonate nel giro di pochi anni a causa dei mutamenti climatici con conseguenti danni irreversibili. Rileviamo invece che al CAI viene tolto anche quel poco che gli era stato dato e che non viene finanziato un piano di recupero dei rifugi a sostegno del turismo non invasivo, cosicché l’ultima grande risorsa che dovevamo tutelare per le future generazioni verrà sacrificata sull’altare delle preferenze per le prossime elezioni.

Con disagio rileviamo che ancora non vi è un piano per il sostegno ai lavoratori dello spettacolo dal vivo, che sono stati i più penalizzati dalla pandemia anche a causa dell’intermittenza e della precarietà dei loro contratti, molti dei quali a chiamata.  Con soddisfazione invece rileviamo che l’Assessorato alla Cultura ha riscoperto il valore dell’agenzia ERPAC alla quale delega interventi in preparazione di Nova Gorica-Gorizia capitale europea 2025, anche se oltre ai soldi qui sarebbe importante anche il superamento di un certo oscurantismo nei confronti delle minoranze (vedi Pride).

Preoccupa infine che non siano affrontati i veri temi della sostenibilità ambientale, come la necessità di introdurre per legge indagini approfondite e di congrua durata, quando vengono presi in considerazione ampliamenti di impianti fortemente impattanti, che offrono posti di lavoro a basso contenuto di conoscenza, come nella zona industriale di Ponte Rosso. Preoccupa che non venga messo mano alla normativa relativa alla scellerata costruzione di impianti fotovoltaici a terra, con conseguente criminale consumo di suolo agricolo piuttosto che in aree abbandonate e dismesse.

La nostra valutazione di questo assestamento è quindi nettamente negativa.

La logica politica adottata dalla Giunta Fedriga, se posso prendere a prestito una distinzione della politologa Nadia Urbinati, è infatti repubblicana ma non democratica. Non cerca più una sana conflittualità in Consiglio dove si confrontano visioni del futuro diverse, anche dettate da ideali e ideologie diverse, come ad esempio tra chi vuole non lasciare indietro gli ultimi, comprendendo tra questi anche quelli che arriveranno per ultimi, perché ancora non ci sono, ovvero le future generazioni, e chi vuole invece continuare con il business as usual senza tenere in conto che non è più sostenibile una visione ipertrofica del presente. Tra chi si batte per una strenua difesa dello status quo falsamente meritocratico e chi vuole azzerare le disparità spingendo verso una società equa e pertanto diseguale in ciò che offre ai suoi cittadini.

La logica della Giunta Fedriga è invece quella che per bocca dell’assessore Roberti, dichiara con soddisfazione che la concertazione con i sindaci può non passare più per il Consiglio o le Commissioni, ma il riparto può essere deciso con una mera delibera di giunta.

La visione politica della Giunta Fedriga, sempre prendendo spunto dalla Urbinati, non è quella della democrazia, con il confronto anche aspro tra i demi, come nell’antica Grecia dai tempi di Clistene, è quella bipolare della repubblica romana, basata sulla divisione tra patrizi e plebei, tra domini e clientes, tra senatus e populus. Gli assessori, ovvero i domini, i patrizi, i senatori, accolgono ed elargiscono a loro discrezione. La Giunta è il senatus. Chi si dimostra leale e si adegua verrà premiato.

Preferirei un DDL molto meno pingue ma più democratico, nel quale i clientes non devono più perdere la loro dignità e i patrizi non rispondono più con il solo fine di mantenere la reputazione di uomini di potere, ma tutti concorrono ad un disegno più ampio. Mi auguro che non ci si riduca a farlo solamente quando non avrà più senso, perché troppo tardi.

Qui il testo fuoriuscito dalla Commissione

Relazione Honsell su Rendiconto 2020

Non vi è dubbio che il 2020 sarà un anno dolorosamente memorabile. Colpiti pesantemente, anche per la grave impreparazione, le cui cause non sono ancora state perfettamente indagate, dal primo grande contagio del Covid-19 che provocò percentuali di morti tra le più elevate al mondo, abbiamo successivamente assistito ad una crisi economica che ha ridotto il PIL regionale di percentuali mai viste dai tempi del terremoto, per arrivare ad un secondo picco del contagio che purtroppo ha trovato la regione FVG ancora più impreparata rispetto al primo, perché quasi nulla era stato fatto in termini di sanità territoriale e capacità di tracciamento.

È fuor di dubbio che abbiamo trascorso il  2020 con fortissimo sgomento e trepidazione a fronte delle tragedie, delle sofferenze e delle morti che il contagio stava provocando, aggravati al tempo stesso, dall’inquietudine derivante dall’impressione che molto, ma molto, di più si sarebbe potuto fare se fossero state analizzate con trasparenza, anche in questo Consiglio,  le dinamiche che hanno fatto perdere il controllo dei tracciamenti e reso fragilissimi i servizi di prevenzione e di sanità di prossimità. Tale situazione ha posto l’Italia ai vertici nel mondo per mortalità in percentuale, e ha posto la Regione FVG, in particolare, addirittura al terzo posto nel mondo con 3118 vittime per milione; facendo altresì rilevare una letalità della malattia del 3,6% (3789/103000) in FVG, contro il 2,3% a livello mondiale. Vanno ovviamente apprezzamento e riconoscenza straordinari a tutti gli operatori della sanità, ma la direzione politico-strategica della sanità non può rimandare un’analisi critica di quanto sia avvenuto, pena il suo ripetersi.

Il 2020 sarà anche un anno memorabile sotto il profilo finanziario, ma non lo sarà per la sua gravità ma per la sua paradossalità, che adesso cercherò di sintetizzare.

Va innanzitutto rilevato che come registrato nella Deliberazione del 13/7/2021 della Corte dei Conti: “Relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nel 2020 dalla Regione Friuli Venezia Giulia e …” vi è stata un’intensa attività legislativa per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica, con ben 12 leggi, e un’impennata dai 31 M€ del 2019 agli oltre 109 M€ del 2020, previsti dalle leggi adottate nel corso del 2020, risorse ovviamente al netto di quelle strettamente finanziarie. Va rilevato che tutti questi provvedimenti sono stati, con grande senso di responsabilità, varati all’unanimità dal Consiglio Regionale. Sono state misure che sono andate a compensare parzialmente le imprese sotto forma di ristori e di sostegni da aggiungersi a quelli statali.  Anche gli enti locali hanno ricevuto importanti risorse per compensare le minori entrate e poter ridurre o rinviare l’introito delle imposte comunali da parte degli operatori economici.

Lungo tutto il corso dell’anno abbiamo assistito a ingenti manovre di bilancio che sono risultate in storni centinaia di milioni a questi fini che originariamente erano state allocate dalla legge di stabilità 2020 ad altri.  Va detto che la facilità con la quale sono stati fatte queste variazioni hanno destato anche una certa sorpresa perché indicativa dell’ampia disponibilità di risorse non spese e della conseguente scarsa capacità strutturale di spesa della Regione. Ciò si rileva anche dalla Relazione sulla gestione 2020 (Allegato 16 del presente DDL 140) che vede una capacità di impegnare le risorse stanziate sulle diciannove Missioni inferiore al 66%, percentuale che scende ancora di più se si escludono i trasferimenti alle altre autonomie (che tradizionalmente soffrono a loro volta di ancora più faticose capacità di spesa – L’ex-PISUS di Tarvisio è l’esempio emblematico) e sprofonda in modo preoccupante a percentuali quali il 16% per la Missione 17 (Energia e diversificazione delle fonti energetiche) e del 26% per la Missione 9 (Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente). Infatti le variazioni di bilancio ammontano in generale a circa 2,6 G€. Insomma, detto un po’ semplicisticamente, è cambiato più di metà del bilancio.

Ma il vero paradosso della situazione finanziaria incomincia a delinearsi lo scorso luglio, quando il Presidente Fedriga terrorizzò la regione enfatizzando in modo cupo, più che i rischi di una ripresa della pandemia che poi tragicamente invece avvenne, quanto sui rischi economico-finanziari del Bilancio, dichiarando che addirittura non ci sarebbero state risorse nemmeno per pagare gli stipendi del personale sanitario. Gettò il Consiglio nello sgomento inducendo la maggioranza ad approvare in bianco il DEFR, per la prima volta dalla sua entrata in vigore con il D.lgs. n. 118/2011, tanta era l’incertezza!

Con queste premesse, visto anche il tragico andamento della pandemia in FVG, ci saremmo quindi aspettati un Rendiconto generale che riflettesse queste drammaticità. E invece il dibattito in Commissione qualche settimana fa si aperto con la notizia da parte dell’Assessore che questo conto consuntivo comporta un avanzo di amministrazione tanto ingente, che al netto di quello vincolato, lascia ben 362 M disponibili da applicare (ovvero spalmare) sul bilancio 2021!!!

Com’è possibile un tale scompenso tra le valutazioni del luglio scorso e la chiusura dei conti cinque mesi dopo? Non voglio nemmeno ipotizzare che ciò derivi da una scarsa consapevolezza dell’andamento del bilancio, da parte della Giunta? E questa non è una preterizione, ma va detto che non ho trovato né nella relazione di accompagnamento a questa legge né in altri documenti nella massa di allegati che l’accompagna, una chiara giustificazione di questa contraddizione. Va detto che l’Assessore ha fornito verbalmente delle argomentazioni, ma non è disponibile una giustificazione ufficiale e trasparente di questo fatto. Perché?

Mi pongo quindi il compito di fornirne una sulla base delle informazioni raccolte nel corso delle varie commissioni e che, non se verrà smentita, ché sarebbe troppo facile, ma se non verrà sostituita da un’altra giustificazione altrettanto esplicita, rimarrà dunque la sola agli atti di questa norma.

Nel corso del 2020 sono pervenute dallo Stato entrate molto ingenti che hanno coperto le spese straordinarie giustamente varate da questo Consiglio, inoltre il governo Conte-2 non ha richiesto il versamento del contributo annuale al saldo di finanza pubblica, che era stato previsto invece dall’accordo Tria-Fedriga del governo Conte-1 (ovvero nella variante Conte-amico), permettendo di rimandarlo al futuro, e da quanto mi è stato dato di capire, di rimodularlo alla luce delle entrate tributarie degli anni finanziari successivi. Infine la scarsa capacità di spesa già evidenziata, ha lasciato molte risorse non-impegnate presso tutte le Direzioni.

Rilevo che quest’ultimo fatto mi sembra piuttosto serio se davvero si vuole innescare la terza ripresa.

Un’ultima considerazione. Questa relazione viene redatta senza aver potuto leggere la Dichiarazione di Affidabilità (DAS) del Rendiconto Generale della Corte dei Conti, né la cosiddetta Parifica, che appunto vengono presentate proprio il giorno stesso nel quale è prevista la consegna di questo documento. Sarebbe opportuno in futuro che le tempistiche dei lavori permettessero una valutazione attenta dei documenti della Corte dei Conti che sono specificamente prodotti a beneficio del Consiglio Regionale.

Il mio voto a questo Bilancio non sarà positivo, non perché non lo ritenga corretto sotto il profilo contabile (da quanto sembra trapelare dalla Corte dei Conti la DAS verrà deliberata), ma un annus terribilis come il 2020 avrebbe dovuto essere accompagnato da una più trasparente documentazione di cosa sia davvero avvenuto aldilà della partita doppia. Un tale sforzo lo si doveva per chi ha sofferto e continua a farlo, e lo si doveva di fronte alla Storia.

Concludo con una considerazione di carattere diverso e umano perché “anche i matematici hanno un cuore”. Oltre ad esprimere l’apprezzamento all’Assessore per l’attenzione che, come di consueto, ha posto ai lavori della Commissione, colgo l’occasione per salutare ed esprimere il ringraziamento nei confronti del dott. Paolo Viola che, per limiti di età, è andato in quiescenza dopo aver svolto per anni ad un altissimo livello il ruolo di Ragioniere Generale della Regione FVG e che avevo imparato ad ammirare già mezzo secolo fa quando, in giovane età, ci sfidavamo alle gare matematiche promosse dalla Mathesis a Trieste. Faccio quindi i migliori auguri di buon lavoro al dott. Alessandro Zacchigna che da lui ha preso il testimone in quel ruolo.

Qui il testo del Rendiconto 2020 fuoriuscito dalla Commissione

Relazione Honsell in occasione delle commemorazioni 77° Anniversario dell’Eccidio della Valle del Bût

Cittadine e Cittadini antifascisti della Carnia, familiari dei Partigiani e delle vittime dell’eccidio della Valle del Bût, Sindaci di Paluzza, di Sutrio, di Cercivento, di Arta Terme, di Ravascletto, di Treppo Carnico, Prato Carnico, Ampezzo di Socchieve, Autorità,

prendo la parola in occasione del 77° anniversario della strage con l’emozione che mi deriva dalla consapevolezza del significato di questa commemorazione per le vostre Comunità.  È una delle vicende costitutive della vostra Storia, ma per quello che la Carnia ha saputo insegnare al mondo nella Lotta di Liberazione dalla barbarie del fascismo, le tragiche vicende del 15, 21 e 22 luglio 1944 che oggi ricordiamo, appartengono alla Storia con la “S” maiuscola dell’Umanità intera; e sono esemplari per tutti coloro che sentono come dovere il riaffermare i valori di libertà e solidarietà.  Come disse Calamandrei, nel suo famoso intervento rivolto agli studenti, sono proprio luoghi come questi – le montagne dove caddero i partigiani, le carceri dove furono imprigionati e i campi dove furono impiccati, ovvero i luoghi simbolo dove è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità a cui bisogna ritornare, perché qui è nata la nostra Costituzione, che è la legge fondante della nostra democrazia antifascista, l’unica legge che non pone limiti ai cittadini, ma va nella direzione inversa, ovvero limita il potere dell’autorità!

Ogni italiano ha un debito di riconoscenza verso questi luoghi e le sue genti, che non potrà mai essere estinto!

Provo sincera gratitudine, rispetto e ammirazione verso le vostre Comunità, che attraverso l’ANPI, vogliono condividere questa loro Storia, facendoci partecipare intensamente al senso di quelle vicende; facendo rivivere quegli esempi di eroica resistenza civile e militare su cui si abbatté la più feroce violenza; sono Comunità, le vostre, che sanno però anche rinnovare quest’eredità con gesti importanti come il conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre, che avverrà tra poco. Gesti di cui c’è tanto bisogno anche alla luce dei costanti tentativi di riscrittura della Storia, come nella recente proposta di Legge presentata al Senato che vuole equiparare le vittime delle Foibe a quelle dell’Olocausto. È in atto un revisionismo di destra quasi impercettibile, fatto di risoluzioni comunali da Monfalcone a Lecce, con i quali la Storia perde senso secondo un paradigma vittimario che cancella ogni differenza. Questi vostri gesti invece la riaffermano!

Inizierò questa orazione leggendo alcune frasi di una delle pagine più memorabili della letteratura resistenziale, che compare nella monumentale antologia di Mimmo Franzinelli, ovvero la lettera che Aulo Magrini (Arturo) scrisse alla moglie Margherita, come testamento spirituale, quando fu costretto ad entrare in clandestinità:

Sento che, pur nello strazio anche mio nel lasciarvi, sparai comprendere che ci sono delle leggi e dei doveri, come uomini e cittadini, di fronte ai quali tutto deve passare in second’ordine – interessi ed affetti, sentimenti ed impulsi.

Ho creduto e credo fermamente in una società migliore e in un migliore prossimo avvenire in questa povera umanità .

Non credo possibile, né posso in questo momento, rifuggire dalle responsabilità e dai doveri che me ne derivano.

Non è questa che la ferma e calma decisione che chiunque, nelle sue pur modeste condizioni, voglia considerarsi degno del nome di uomo, deve prendere per sé e soprattutto per i propri figli.

Ho voluto citare queste frasi in apertura, non solo perché nella loro quasi paradossalità sono esemplari di un più alto senso di responsabilità civile verso la collettività che viene prima rispetto a quella nei confronti dei propri familiari, che è sempre individuale, ma perché mi sembrano straordinariamente attuali nel loro allargare l’orizzonte di tale responsabilità civile soprattutto alle future generazioni, “soprattutto per i propri figli” scrive Magrini. Questo messaggio indica senza mezzi termini quello è drammaticamente in gioco anche oggi in questa nostra epoca minacciata dal riscaldamento globale che deriva da un’altrettanto feroce barbarie fascista: lo sfruttamento indiscriminato del pianeta al fine di accumulare ricchezze nelle mani di pochi con il conseguente aumento delle disparità tra i cittadini. Un falso sviluppo che ingiustamente allarga la distanza tra primi e ultimi; e tra questi ultimi ci sono anche quelli che non ci sono ancora perché verranno dopo. In gioco è il futuro, sono le future generazioni!

Questo è il primo e più forte insegnamento resistenziale che risuona dalla Valle dell’alto Bût! Oggi tutti parlano di future generazioni (Next Generation), credendo che sia un concetto nuovo e moderno, quando invece, come si coglie nella lettera, fu proprio il punto archimedeo che, nella coscienza dei suoi testimoni più autentici, diede senso alla Resistenza e ai tremendi sacrifici individuali che ne derivarono. Oggi quando agiamo avendo in mente le future generazioni, i nostri figli – impegnandoci per ridurre le disparità anche nei confronti di chi verrà, tutelando il pianeta – ci ricolleghiamo idealmente alla Resistenza, resistendo alle pretese di uno sciocco presente opportunistico e ipertrofico!

Questa è la forza delle vicende costitutive della Storia di un popolo, quale la lotta Partigiana. Sono esemplari su numerosi piani; rinnovandosi profeticamente; diventando metafore viaggianti nel tempo!

E proprio nel tempo presente così duramente segnato dal tremendo contagio che tanto dolore e sofferenza hanno portato ovunque, non possiamo non leggere alcuni grandi insegnamenti che la lotta di Liberazione aveva già indicato tanti anni fa. La pandemia, drammatica esperienza collettiva, che ha toccato indistintamente tutti, avrebbe dovuto farci capire che i beni che contano veramente, i beni decisivi, sono i beni pubblici e non quelli privati: la salute come la libertà, come i diritti. Non c’è salute e non c’è libertà e non ci sono diritti se questi non lo sono per tutti; se si lascia indietro qualcuno. La salute, la libertà, i diritti, o sono di tutti oppure non sono!

La tragedia dei tanti morti che ha colpito il nostro paese e soprattutto questa regione e la Carnia stessa, facendoci registrare tra le più alte percentuali di vittime al mondo, ha le sue radici in quella fragilità del sistema sanitario territoriale e di prossimità, fatto di prevenzione e del prendersi cura delle cronicità. Questa fragilità è la conseguenza della troppa enfasi data alla riduzione dei costi in sanità, e la parallela ricerca di prestazioni individuali, che ha favorito in modo scellerato un sistema privato che non è in grado di concepire la salute come bene collettivo. E amaramente constatiamo che le ultime decisioni politiche a livello regionale non sembrano ancora aver compreso questa lezione.

E proprio questa indicazione resa esplicita in modo così duro e per cui ci batteremo politicamente, soprattutto monitorando nei mesi a venire l’applicazione delle ingenti risorse del PNRR designate per la costituzione delle cosiddette “case della salute” e di prossimità, sembra uscire proprio dalle pagine del famoso studio svolto nel 1930 dall’associazione Pro Carnia che affrontò numerosi temi per il rilancio di questo territorio. Sono tutti ancora attualissimi a quasi un secolo di distanza: trasporti, economia, turismo, istruzione, e appunto, la sanità pubblica. E non a caso fu proprio Aulo Magrini a redigere quella parte del documento dal titolo Il problema igienico-sanitario in Carnia. Vi invito a rileggere quelle pagine rese mirabilmente accessibili da Anna di Qual grazie al libro (Aulo Magrini e la Carnia ed. KappaVu).

La figura di Aulo Magrini giustamente e mirabilmente illustrata giovedì scorso a Paluzza, ancora grazie all’ANPI, con lo stupendo intervento dello storico Maieron, andrebbe divulgata di più insieme alla sua straordinaria concezione della sanità pubblica che lo portò a venire chiamato “medico dei poveri” in quanto introdusse un sistema di sicurezza sanitaria finanziata attraverso l’acquisto annuale di una tessera a basso costo, che mutualisticamente permettesse di garantire le spese per le cure mediche a tutti coloro che ne partecipavano qualora ne avessero avuto bisogno. Aulo Magrini trovò ispirazione in queste sue iniziative proprio dall’adesione al Partito Comunista sin dal tempo dell’Università nei primi anni ’20. E nel parlare di Aulo voglio esprimere anch’io tutto il cordoglio per la recente scomparsa di quel suo figlio straordinario, tra i figli straordinari di Aulo Magrini, che fu Giulio, sindaco e consigliere regionale della ricostruzione del post terremoto, fulgida figura di rigore morale, di intellettuale impegnato, stimolante e curioso, di difensore della Carnia, e con essa degli ultimi di tutto il pianeta. Considero, l’averlo conosciuto di persona, come uno dei grandi privilegi che mi sono stati concessi. Ebbene proprio Giulio è l’illustrazione di chi siano e quanto possano dare le future generazioni quando i loro padri hanno lo spessore etico di Aulo. Quando pensiamo alle future generazioni pensiamo dunque al passaggio da Aulo a Giulio e a come perpetuare le loro eredità. Così forse riusciremo finalmente ad abbracciare un periodo più ampio della Storia, liberandoci da quel soffocante opportunismo del presente che azzera ogni valore e debito.

E proprio la morte di Aulo in battaglia il 16 luglio 1944, con tutti i vergognosi tentativi, peraltro confutati di screditarla, che furono operati anche in epoca recente da una logica fascista ancora non estirpata, apre la narrazione di quei tremendi eventi sui quali siamo oggi qui a ragionare.

Le vittime delle stragi del 21 e 22 luglio del 1944, di quelle quarantotto ore di barbarie, feroce violenza, terrore nella Valle del Bût sono tutte ancora vive. Sono diventate immortali come possono diventarlo solamente gli eroi, oppure i profeti di un mondo migliore, che non hanno mai avuto l’opportunità di conoscere ma solo immaginare con la forza dei loro ideali. Quei ragazzi sono i nostri figli, quelle donne sono le nostre madri e le nostre sorelle, quegli uomini i nostri padri e fratelli.

La Storia, con la “S” maiuscola, ha dimostrato che la loro morte così assolutamente ingiusta e crudele non è stata inutile però. Prove indiscutibili sono le fasi successive della Lotta Partigiana che invece di infiacchirsi, proprio grazie a questi sacrifici, portò di là a qualche mese, in queste terre a quell’apoteosi di libertà che fu la Repubblica Partigiana della Zona Libera della Carnia. Quell’esperienza maturata grazie alle capacità di uomini straordinari come Romano Marchetti, che fu Repubblica quando ancora l’Italia era regno, si erge come monumento incancellabile di civiltà per i provvedimenti legislativi che prese anticipando la nostra Costituzione. Diede per la prima volta nella storia dell’Italia il voto alle donne, curò la ripresa dell’anno scolastico con una revisione dei contenuti espressamente fascisti dei libri di testo, deliberò in materia fiscale istituendo una sola tassa progressiva sul reddito, rifondò il sistema giudiziario prevedendo l’abolizione della pena di morte, introdusse misure di solidarietà e di tutela dell’ambiente e dei beni comuni come il patrimonio boschivo e l’acqua, varò misure in difesa dei lavoratori e soprattutto misure di sanità pubblica.

Ulteriore prova del fatto che le morti della strage della Valle del Bût non furono inutili è la Liberazione stessa dal Nazi-fascismo avvenuta poco meno di un anno dopo, e soprattutto i quasi ottant’anni di pace, democrazia e libertà della Repubblica Italiana e della nuova Europa nate dalla Resistenza. Anche la nostra stessa presenza qui oggi a Paluzza, e prima a Cercivento e Sutrio dimostrano che queste morti non furono inutili. Nell’onorare le vittime di quelle stragi ed eccidi, rinnovando lo sdegno, riaffermiamo la nostra lealtà nei confronti di quelle vittime e ribadiamo il nostro impegno non solamente a difendere la Costituzione ma a far “vivere la Costituzione”, in un momento storico forse tra i più difficili dalla sua promulgazione. La domanda che dobbiamo porci può essere una sola: sappiamo essere all’altezza del loro sacrificio?

I terribili fatti di quei giorni si svolsero in un contesto di frequenti rastrellamenti e deportazioni nei campi di lavoro e sterminio nazisti. Manca una precisa descrizione del numero esatto di coloro che furono deportati, anche per quella incapacità di testimoniare l’indicibile e l’impensabile dei pochi che hanno fatto ritorno. È  quella la lacuna intestimoniabile, che è stata trattata con straordinaria profondità da Giorgio Agamben nel suo “Quel che resta di Auschwitz”.

Gli archivi storici parlano inequivocabilmente di almeno 52 morti, tanti furono i civili, ragazzi e ragazze, giovani, donne, di cui una incinta, anziani, uomini. Caddero barbaramente uccisi, molti dopo atroci torture e umilianti sevizie, ad opera di bande di SS tedesche e fasciste repubblichine che vigliaccamente si erano travestite da partigiani garibaldini per ingannare gli abitanti della valle a cui poi si unirono squadroni costituiti da reparti di SS tedesche e Brigate Nere italiane.

Accolti cordialmente, come sempre venivano accolti i Partigiani, in 20 furono massacrati alla malga Pramosio, malgari, casari, pastori impegnati nell’antica pratica della monticazione con le loro famiglie:  Aldo Maieron di 14 anni, Silvio Puntel di 16, Giovanni Mentil di 16, Vincenzo Matiz di 17, Carlo Mentil di 17, Lidia Maier di 30, Romeo Englaro di 33, Giobatta Zannier di 34, Olinto Del Bon di 39, Alessio Quaglia di 45, Andrea Brunetti di 50, Adele Tassotti di 55, Guerrino Vanino di 55, Giacomo Mentil di 58, Nicolò Unfer di 59, Cesare Zannier di 66. Due donne che avevano cercato di nascondersi nel bosco Massima delli Zotti di 53 e Paolina Tassotti di 45 entrambe madri di famiglia furono violentate prima di venire massacrate. Sono due esempi di quelle silenziose donne carniche che solo recentemente hanno ricevuto il meritato riconoscimento per lo straordinario ruolo svolto nella Lotta Partigiana armata e nell’altrettanto importante impegno di Resistenza civile, come portatrici di rifornimenti, di informazioni. Più a valle l’orda feroce scovò due boscaioli Oreste Pagavino di 39 anni e Benvenuto Primus di 50 in località Frate, che furono orrendamente sfigurati prima di venire sgozzati come animali. E altri tre partigiani furono uccisi più avanti a Cercivento, Mosè Straulino di 29 ani e Mario De Reggi di 46 e Enrico Nodale di 47.

Il giorno successivo da Tolmezzo si unirono ai falsi partigiani, feroci reparti che seminarono a loro volta una lunga scia di sangue, violenza, terrore, riempiendo, tanti luoghi di questa valle delle urla delle vittime torturate e del rumore delle loro barbare esecuzioni.

La prima vittima di questa seconda giornata fu Gino Miss di 23 anni, e poi una lunga scia di sangue. Al bivio del ponte furono ammazzati i giovanissimi Albino Cicutti di 19 anni, Giovanni De Reggi di 26, Rino Dorotea di 32, Gelindo Moro di 23, Enrico Selenati di 31. Molti altri cittadini furono presi ostaggio, dalle SS ormai ubriache, picchiati selvaggiamente e poi incolonnati, molti irriconoscibili per il viso tumefatto dalle percosse e assassinati uno a uno lungo la strada verso Arta Ernesto Englaro di 44, Osvaldo Del Bon di 32, Costanzo Lazzara, Giovanni Gressani, il barbiere, di 32, Adamo Pittino di 45, e altri ancora in località “Aghevive” Toni di Lesci e, mentre era al pascolo, Luigi da Rose. La coraggiosa e preziosa testimonianza del libro di Rodolfo di Centa (Rudy) “Testimone oculare” uno dei pochi sopravvissuti di quella marcia della morte, fatta pubblicare da Alfio Englaro e ulteriormente circolato grazie all’iniziativa di Luigi Cortolezzis, con il sostegno della SECAB, costituisce un documento importante per ricostruire quelle vicende mettendo in evidenza il dramma, le paure, le ansie, le speranze, insomma quello scarto tra storia e testimonianza tra fatti e verità, tra comprensione e constatazione.

Penso sia importante ripercorrere quell’incalzante e inquietante sequenza di aggressioni, violenze, assassinii e deportazioni. È un tributo alla memoria delle vittime. Tra queste vi erano certamente Partigiani combattenti, ma anche tanta gente comune, non direttamente impegnata in azioni armate, che però istintivamente si dimostrava accogliente verso chi combatteva la Lotta di Liberazione. Penso sia importante ripetere oggi i loro nomi, indipendentemente dal loro ruolo, proprio come l’associazione Libera fa ogni 21 marzo, nella Giornata della Memoria e dell’Impegno, ricordando tutte le vittime innocenti delle mafie in omaggio a quella donna minuta, Carmela, che vestita di nero e piangente disse nella prima commemorazione della strage di Capaci: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai?».

Ripensando a tutte queste persone accomunate nella morte, viene in mente un’altra frase di Piero Calamandrei, posta ad epigrafe sul monumento alla Resistenza a Udine in Piazza XXVI Luglio. “Quando considero questo misterioso e meraviglioso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile fino a quel giorno inerme e pacifica, che in un’improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica, ai segreti comandi che regolano i fenomeni collettivi.

Come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come le rondini di un continente che lo stesso giorno si accorgono che è giunta l’ora per mettersi in viaggio.

Era giunta l’ora di resistere: era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini.”

Credo che questa frase faccia capire che cosa sia stata davvero la Resistenza, al di là delle vigliacche strumentalizzazioni di tanti episodi. Da Sindaco di Udine volli mostrare personalmente quel monumento e recitare quella frase all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in visita a Udine, al quale il protocollo originario voleva far visitare solamente la malga di Porzus. In questa frase invece è contenuto anche il riscatto della Malga Pramosio. La Resistenza fu infatti un movimento collettivo, spontaneo di genti meravigliose. E la metafora di queste genti, nel monumento di Gino Valle, è l’acqua, che scende dall’alto lungo la Forra verso il bacino della pace. Quel monumento è la cifra della lotta Partigiana in Carnia.

Di fronte alle stragi, come quelli della valle del Bût, la domanda da porsi è: perché tanta diabolica barbarie? Sempre Giorgio Agamben, relativamente alla ferocia nazista, scrive: se il problema delle circostanze storiche, tecniche, burocratiche, giuridiche può considerarsi chiarito, ben diversa è la situazione per quanto concerne il significato etico e politico della violenza o anche soltanto la comprensione umana di ciò che è avvenuto – cioè, in ultima analisi, la sua attualità.

Agamben considera in verità risolto l’aspetto giuridico. Rispetto a queste stragi, invece, l’avvento della guerra fredda ha portato a interrompere le indagini nei confronti dei crimini nazisti e fascisti, e l’aspetto giuridico non può certo dirsi compiuto. Manca spesso in Italia quanto in altri contesti, persino per le atrocità dei campi di sterminio è invece avvenuto: la ricerca, il processo e la condanna dei colpevoli. Bisognerebbe riaprire o svolgere le attività investigative al riguardo: lo dobbiamo alle vittime ma lo dobbiamo anche ai nostri figli ai quali insegniamo la Storia. Questa assenza ha certamente pesato sulla presa di coscienza, anche storiografica, di tanti eventi come quello delle stragi della Valle del Bût.

Come ricorda Santo Peli nel suo libro “La Resistenza in Italia”, per oltre 50 anni gli storici si sono interrogati, con molte difficoltà, su quali furono le ragioni dello stillicidio di episodi di violenza, eccidi, stragi, rappresaglie, rastrellamenti, apparentemente immotivati nella loro agghiacciante ferocia, che caratterizzò la presenza delle Forze Armate tedesche e repubblichine in Italia dal 1943 al 1945 e che costò oltre 10,000 vittime tra i civili. Sono state prese in considerazione tante ragioni per spiegare questo fenomeno diabolico: la difficile convivenza dopo l’Armistizio, la decisione tedesca di difendere palmo a palmo e in modo capillare il territorio italiano, il pregiudizio razziale nei confronti degli italiani, l’emergere graduale di un’attività partigiana fino al suo assestamento in quello che il generale Kesserling definì un vero e proprio fronte di combattimento. Ma la particolare durezza con cui fu trattata la popolazione italiana e lo spirito vendicativo che ispirò la condotta dei tedeschi e dei repubblichini sfugge in verità a tutte queste spiegazioni. La storiografia oggi sembra convergere, verso la conclusione che i tantissimi episodi non si sarebbero tradotti in violenza diffusa se questa non fosse stata in qualche modo legittimata da misure autenticamente repressive ed espressamente ostili verso la popolazione. La verità oggi sempre più chiara è che nazisti e i repubblichini praticarono una vera e propria “guerra ai civili”, inaugurata nel XX secolo proprio dall’esercito fascista nella Guerra di Spagna, per molti aspetti molto vicina alla “guerra di sterminio” che fu condotta dai nazisti tedeschi all’Est. Varie sono le fasi nelle quali si possono classificare queste azioni nazifasciste contro i civili, ma soprattutto in quella che è la terza fase della tipologia delle stragi che va dal giugno all’ottobre del 1944, quella della valle del Bût appunto, si assiste ad una vera e propria escalation della violenza nei confronti della popolazione italiana. Si passa infatti da una repressione di fatti occasionali e isolati ad una concreta offensiva pianificata sul territorio che comporta ormai il superamento di ogni distinzione nella repressione antipartigiana tra civili e resistenti. L’avversario è la popolazione. In luogo delle iniziative antipartigiane, diventano pratiche sempre più diffuse rappresaglie sui civili, l’incendio di villaggi, l’arresto di massa, la deportazione. Il 17 giugno del 1944 il feldmaresciallo Kesserling emana il suo ordine: “La lotta contro le bande deve essere condotta perciò con tutti i mezzi a disposizione e con la massima asprezza. Io coprirò ogni comandante che nella scelta ed asprezza del mezzo vada oltre la misura a noi di solito riservata”. Non quindi casualità, inevitabilità o diabolica perfidia germanica sono le cause di tanta violenza, bensì sistematica politica di saccheggio, uccisioni e terrorismo, pianificata per punire e terrorizzare la popolazione civile e privare così la Resistenza armata del humus in cui svilupparsi e rafforzarsi. I massacri dei civili non vanno infatti mai letti come rappresaglie in corrispondenza di fatti precisi, ma come azioni di una guerra preventiva condotta contri i civili.

A chi ancora si interroga sull’efficacia o sul significato della Lotta Partigiana queste considerazioni dovrebbero dare risposte chiare. Anche se certamente l’azione che portò alla morte di quel puro eroe che fu Aulo Magrini, insieme a Vito Riolino ed Ermes Solari, il 15 luglio del 1944 presso il ponte di Noiaris ad Arta inferse un colpo alla forze naziste in Carnia, non è con una logica di rappresaglia per questo atto che si può interpretare la ferocia dei massacri della settimana successiva nella Valle del Bût. Nella strategia delle truppe naziste e fasciste: il barbiere, la casara, il boscaiolo, il ragazzo, la donna incinta, anche loro sono un nemico.

Quale lezione di Storia questa! Nel populismo di destra, il popolo viene dapprima strumentalizzato e utilizzato alla stregua di un alleato militare da aizzare, e quando questo non è più utile, esso stesso diventa un nemico, e, come ci dimostrano drammaticamente questi fatti drammatici nella Valle del Bût, un nemico per trattare il quale non ci sono più regole da rispettare. Il mostro del populismo che a Trieste il 17/11/1938 inneggiava alla promulgazione delle leggi razziali divora se stesso!

Quindi rifiutiamo la banale lettura Partigiani–rappresaglie. I fatti della Valle del Bût dimostrano inequivocabilmente che la guerra nazifascista fu una guerra ai civili, fu guerra totale e fu guerra di sterminio. Guerra nella quale gli stessi militari infransero le regole del diritto internazionale di guerra!

Per comprendere cosa ha significato la Resistenza in Carnia ed in Friuli bisogna anche tenere presente che dal 10 settembre del 1943, a seguito dell’armistizio di Cassibile, queste terre diventarono in tutto e per tutto OZAK (Operazionszone Adriatishes Küstenland). Vennero cioè sottratte alla sovranità italiana e il Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer assunse poteri assoluti su tutti i campi della vita politica, sociale, economica e nell’amministrazione della “giustizia”. La Repubblica Partigiana della Zona Libera della Carnia “di fatto fu strappata al territorio tedesco”, come spesso ricordava uno di quei protagonisti, Giovanni Spangaro. E ai vertici delle SS a Trieste giunsero figure come, Odilo Globočnik e Franz Stangl, che parteciparono attivamente all’operazione T4 eutanasia e alla costruzione e gestione dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka, che costarono la vita a oltre 1,500,000 di persone; e furono trasferite appunto all’OZAK quando quei campi vennero chiusi per l’avanzata dell’armata Rossa.

Come ho sempre fatto in tutte le orazioni che ho avuto il privilegio di svolgere per commemorare i Partigiani non posso non citare alcuni documenti di altissima umanità e civiltà che sono le lettere dei condannati a Morte della Resistenza. Questi giovanissimi con le loro poche parole dimostrano di aver colto il senso della Storia prima e meglio degli altri, e ci consegnano delle lezioni immortali di impegno civile:

“Carissima mamma, …la mia coscienza è pulita, non mi hanno accusato di altro che di aver indossato la divisa dei partigiani. … e pensa con orgoglio a me perché ho fatto il mio dovere e faccio l’ultimo sacrificio per la Patria, per i santi ideali della verità, della libertà, e della civiltà.”

Cos’altro ci sarebbe da dire? Come si può esprimere qualcosa di più alto, di più forte, di più intenso, di più commovente, di più perfetto, di quanto scrive alla sua mamma Luciano Pradolin (Goffredo) di anni 23 di Tramonti, poche ore prima di essere fucilato alle ore 6 dell’11 febbraio 1945 davanti al cimitero di Udine. In un’altra lettera indirizzata alla sorella, lo studente universitario Pradolin cita la poesia di Leopardi “Nelle nozze della sorella Paolina” e in quella lettera, a poche ore dalla morte, ne offre un’interpretazione nuova di straordinario impatto, che la trasfigura in un’attualità eterna. Pietro Benedetti in una delle più intense tra queste lettere ci pone con semplicità la scelta etica fondamentale “ho voluto essere attore e non spettatore”, non volle cioè essere indifferente. L’indifferenza è infatti complicità. Quanto sarebbe stato più comodo aspettare e non agire! ma come dichiara Alfio Martini in un’altra lettera “un bel momento bisogna passare dal pensiero all’azione, le parole non bastano più occorrono i fatti”. Come risuona qui la legge di Solone nell’antica Grecia, che puniva con l’atimia, la perdita dei diritti civili, chi nella statis, nella guerra civile, non avesse preso le armi per una delle due parti!

Perché combattevano i partigiani? Contro il Fascismo, la falsa Patria, regime tremendo e assassino, che aveva oppresso l’Italia per oltre vent’anni privandola della democrazia, dei diritti civili, sopprimendo la libertà di stampa, di riunione, di espressione, privando di ogni ruolo il Parlamento, i partiti e i sindacati, che aveva varato l’abominio delle leggi razziali, condotto l’Italia ad una sciagurata guerra di aggressione a fianco del nazismo contro Francia e Gran Bretagna e poi dal 22 giugno 1941 all’URSS (Mussolini dichiara guerra mentre era in vacanza a Riccione e l’ambasciatore russo in Italia la riceve mentre stava facendo il bagno a Fregene), avviando il tragico fenomeno della deportazione nei campi di sterminio e concentramento di giovani, anziani, donne, bambini. Barbarie, ferocia, arroganza, stupidità, inciviltà, che possono prendere il potere così facilmente ma sono poi così difficili da estirpare!

I Partigiani furono volontari che seppero scegliere tra l’essere spettatori passivi di una tragedia oppure coraggiosi attori, protagonisti di un riscatto. La Lotta Partigiana di riscatto civile fu combattuta in Friuli e in Carnia da oltre 20.000 tra uomini e donne, con il sacrificio di oltre 3000 morti, 1.600 feriti e 7000 deportati, e 12.000 prigionieri politici, uomini e donne rinchiusi nel carcere di via Spalato a Udine, luogo di tortura e di morte. Per quell’epopea Udine fu insignita della Medaglia d’Oro a nome di tutto il Friuli e della Carnia.

I Partigiani combattevano per una società migliore. Per un’Europa diversa da quella che voleva il Terzo Reich basata sul razzismo sull’antisemitismo, sul tentativo di distruggere le identità nazionali e culturali dei paesi assoggettati, sugli stermini di massa degli ebrei, dei “fuori posto” come i Rom o gli omossessuali, combattevano per una società dove l’interesse supremo è quello collettivo e non quello individuale basata sulla responsabilità verso gli altri, verso i più deboli, verso le generazioni future, appunto. Anche l’idea di Europa, unita nella diversità, che ci ha dato 77 anni di pace è nata dalla lotta di Liberazione.

I valori della Resistenza sono sempre attuali, anzi lasciatemelo dire sempre più attuali, sono la stella polare nell’affrontare il futuro più prossimo. Le cui sfide delineo brevemente iniziando dal ruolo che la Carnia può svolgere in quanto luogo che nella sua storia è sempre stato animato da uno slancio di libertà e che quindi non a caso fu luogo primario di Resistenza.

La Carnia, come fu il Friuli di Ippolito Nievo, è oggi più che mai compendio dell’Universo, emblematica nelle due principali sfide che la nostra società deve affrontare che, come ho già detto, sono le questioni ambientali e le disparità socio-economiche. La Carnia è infatti depositaria di straordinari beni ambientali, ma è anche territorio emarginato, a volte abbandonato, rispetto a luoghi ingiustamente più avvantaggiati. Colpiscono i dati agroambientali di poco più di un secolo fa. La Carnia disponeva allora di percentuali di terreni agricoli, o comunque gestiti, estremamente più elevate di quelle attuali, ma al tempo stesso la percentuale di suolo urbanizzato, antropicamente consumato, era ordini di grandezza più piccola di quella attuale! La sfida del futuro va vinta proprio cogliendo il valore di cui questi luoghi sono portatori, tutelandoli dai saccheggi delle multinazionali dell’energia rinnovabile, del turismo sfrenato, o dell’industria inappropriata, ma assicurando al tempo stesso servizi sanitari diffusi e di prossimità e reti materiali e telematiche. Solamente risolvendo qui queste apparenti contraddizioni, si può concepire un modello nuovo per il pianeta, che finalmente metta in pratica il messaggio dell’ambientalista Alexander Langer degli anni ’80, quel lentius suavius, profiundius, in opposizione allo scellerato citius altius fortius dell’ipertrofico presente. È nostro dovere ma anche nostra unica speranza. Non è più sostenibile infatti il modello di sviluppo pre-pandemia. Gli impatti drammatici e sempre più frequenti dei mutamenti climatici (pensiamo al medicano Vaia, ovvero l’uragano mediterraneo, o il ciclone che si è abbattuto in questi giorni un migliaio di chilometri più a nord) devono farci aprire gli occhi sulle conseguenze a cui andiamo incontro e farci comprendere la lezione della pandemia sintetizzata dallo scrittore islandese Magnason vincitore dell’ultimo Premio Terzani, con la sua crasi Apausalypse Now, Apausalisse incrocio tra Apocalisse, ovvero rivelazione, e pausa.  Questi luoghi devono ispirarsi, con orgoglio, al passato che permise loro di anticipare momenti di straordinaria innovazione in un contesto di economia circolare ante-litteram. La Carnia deve diventare il banco di prova per il pianeta del futuro. Si devono rendere nuovamente sostenibili pratiche rispettose come quella della monticazione, quelle che esercitavano le povere vittime di Malga Pramosio, si deve difendere la ricaduta sul territorio degli utili maturati dalle multinazionali dalle grandi derivazioni idroelettriche, impedendo loro di giocare come sta avvenendo presso gli invasi di Somplago e Verzegnis sulla riduzione dei costi del personale, si devono tutelare le medie derivazioni come quelle della cooperative dell’Alto Bût, si deve impedire di incidere sul flusso vitale dei torrenti per tutelare la straordinaria biodiversità della Carnia, si deve valorizzare il tursimo lento, ma al tempo stesso si deve evitare che i figli di questi luoghi siano costretti a espatriare perché impossibilitati a svolgere attività ad alto contenuto di conoscenza per la mancanza delle infrastrutture anche telematiche fondamentali che invece ormai sono banalmente disponibili nelle aree giudicate di interesse di mercato. La Carnia deve diventare modello proponendo se stessa come unico mix tecnologico-ambientale sostenibile per il futuro.

In questa stagione ricchissima di risorse finanziarie, a seguito degli interventi a favore della ripresa dopo la devastazione della pandemia, dal PNRR al Next Generation EU al ReactEU, vanno dunque pretesi investimenti volti ad azzerare le disparità socioeconomiche, soprattutto nei territori fin ad oggi svantaggiati come la Carnia. Molte sono le famiglie che in questi ultimi anni hanno avuto rapide cadute nel proprio tenore di vita a causa della grave crisi economica e molte saranno a rischio se non viene impedita la potenziale corsa ai licenziamenti dettata dalla logica dell’infame riduzione del costo del lavoro nelle sue forme degenerate della delocalizzazione e della sudditanza alle multinazionali e ai hedge funds. Da decenni le crisi sono il frutto di un processo scellerato di deregolamentazione condotta in nome di un libero mercato soggetto solo alle regole spietate del più forte; ad un’anomala iper-finanziarizzazione dove né le competenze, né le risorse hanno più valore ma è solo il denaro che crea denaro. Questo liberismo che è l’antitesi della libertà, che invece è rispettosa dei beni comuni, si alimenta proprio dell’eliminazione delle regole, ovvero di regole infrante e azzerate. L’Unione Europea deve avere la forza di combattere le dannose incrostazioni dei nazionalismi ancora troppo presenti che vengono abilmente sfruttati dai fondi di investimento. Lo ripeto, lottare per un’Europa dei cittadini è ribadire l’attualità dei valori della Resistenza.

E proprio qui a Paluzza, non posso non menzionare una vicenda recente, profondamente umana, ma per tanti versi emblematica di cosa significhi l’impegno per far vivere la Costituzione, una vicenda di resistenza contemporanea, quindi. Ha coinvolto persone che portano gli stessi cognomi di alcune vittime di queste stragi. Beppino Englaro è un nuovo eroe civile di queste terre. Ha saputo trasformare il più tremendo dei drammi familiari in una missione di impegno civile, dimostrando con la sua azione non solamente un amore paterno nei confronti della propria figlia ma anche un amore nei confronti di tutti i cittadini italiani. Ha creduto fino in fondo nel fatto che la Repubblica Italiana fosse una nazione civile. Non ha mai voluto utilizzare scorciatoie e ha voluto dimostrare a beneficio di tutti i cittadini italiani, la fede nella Giustizia e nella Costituzione che la garantisce. Siamo orgogliosi di essere stati al suo fianco nella fase finale di quella battaglia civile, combattuta a Udine, contro un governo che fino in ultimo e con ogni mezzo non accettava di garantire il diritto alla giustizia ad un padre e a una figlia. Avevano a loro favore sentenze di ogni grado di giudizio che riconoscevano loro il diritto sancito dal secondo capoverso l’art. 32 della Costituzione: il rifiutare le cure come scelta a fronte dei dilemmi bioetici che le nuove tecnologie di rianimazione pongono  quando non vanno a buon fine.  A Udine nel febbraio del 2009, nella casa di riposo comunale, non siamo rimasti spettatori, ma abbiamo fatto il nostro dovere garantendo a un padre e una figlia i loro diritti.

Oggi quel percorso ha assicurato al nostro paese la legge sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, la Legge 219/2017. Purtroppo i suoi decreti attuativi non sono ancora stati resi esecutivi e quel diritto non è ancora del tutto esigibile. Altri temi bioetici sono incalzanti con il progredire della scienza. In questi mesi c’è la raccolta delle firme per il referendum sulla depenalizzazione di chi assiste alla morte volontaria, la firma è un appuntamento di civiltà anche questo, per chi crede nella Resistenza.

L’eredità della Resistenza ci impone oggi di essere al fianco di ogni minoranza, perché siamo tutti minoranze, di qualche minoranza, e come si è detto i diritti sono di tutti o non sono. Pertanto dobbiamo batterci per riconoscere e far riconoscere la dignità delle persone LGBTQ+ e in primo luogo l’identità di genere e condannare e punire la violenza materiale e immateriale dettata dall’omotransfobia. Dobbiamo impedire, come sta avvenendo da più parti, e in primo luogo in Consiglio Regionale, che non sia possibile nemmeno nominare questi crimini. Non dobbiamo dimenticare che fino agli anni ’90 l’orientamento sessuale e identità di genere, diverse da quelle della maggioranza, erano considerata una malattia mentale, e che quei cittadini, in piena violazione dell’art. 3 della Costituzione, hanno subito nei secoli  sopraffazioni e discriminazioni, e quindi sofferenze, indicibili.

Far vivere la Resistenza vuol dire anche condannare senza se e senza ma i tremendi fatti avvenuti nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere e punire i colpevoli; e pretendere la verità su quanto è avvenuto vent’anni fa in occasione del G8 alla caserma Bolzaneto e alla scuola Diaz. Queste vicende ci devono aprire gli occhi su quanto sia facile, in questo paese, scivolare nello stato di eccezione e quindi nella sospensione unilaterale dei diritti nei confronti del più debole.

E Resistenza vuol dire anche pensare ai migranti in termini diversi da quelli che sono stati usati finora. Loro, che minoranza non sono, ma sono vittime di guerre, dei mutamenti climatici e del colonialismo che ancora oggi espropria loro dei loro patrimoni ambientali, sono la maggioranza nel pianeta. Dobbiamo opporci alla pratica dei respingimenti alla frontiera o in mare che, violando i diritti umani innescano un effetto domino di morte. Opporci a leggi discriminatorie e razziste che escludono fasce di cittadini che non hanno sufficiente anzianità di residenza e a propagande che cercano di scaricare i problemi individuando capri espiatori come gli immigrati e gli stranieri o i diversi. Il tema dell’immigrazione è certamente difficile, ma in un paese che ha così bisogno di future generazioni come l’Italia, avere ancora una legge che non ammette forme regolari di immigrazione come la Bossi-Fini o come la Legge 94/2009 Maroni, che viola il diritto di nascita generando potenzialmente bambini fantasma non denunciati per paura da genitori irregolari, è un’aperta violazione della Costituzione nata dalla Resistenza.

Concludo esprimendo forti parole di elogio per l’ANPI: per il suo impegno nel raccogliere e conservare i documenti storici, nel far rivivere la memoria curando queste commemorazioni. Sono fondamentali per conservare il senso di un impegno civile attivo e coraggioso, quello dal quale è nata la nostra Repubblica e la sua Costituzione e per la battaglia finale che è il diritto alla memoria della Resistenza. Assistiamo invece sempre più spesso a tentativi ufficiali di appiattimento delle differenze tra Partigiani e Fascisti di Salò, come recentemente al comune di Gorizia che, capitale europea della cultura nel 2025, nega il patrocinio al Pride ma riceve gli eredi della X Mas o all’enfatizzazione di episodi certamente condannabili ma marginali, e addirittura ad onoreficenze conferite alla memoria di fascisti nella Giornata del Ricordo.

Non si vuol negare la pietà umana a nessuna vittima. Non si vuol rinunciare a condannare tutte le ingiustizie. Ma non dobbiamo confondere la memoria, il pensiero, gli ideali, il coraggio, la fede di quei giovani che seppero essere Partigiani, che seppero scegliere tra l’essere attori, sacrificando la loro vita e quelli che cercarono di combatterli mettendosi al servizio dei nazifascisti. La nostra riconoscenza e celebrazione devono andare solamente ai Partigiani. Quale modello vogliamo dare ai nostri figli? Ferma deve essere la distinzione tra chi si è battuto per la libertà e chi invece per la sopraffazione, tra chi ha creduto in un mondo migliore dove esprimere liberamente l’infinta ricchezza della natura umana e chi invece ha sostenuto l’omologazione e l’appiattimento fascista. Credo che la vera lezione della Resistenza, quella sempre attuale, sia che bisogna dividere, bisogna distinguere tra il bene e il male, tra i valori e i delitti, bisogna scegliere da che parte stare. Questa è quella degli ultimi, che deve comprendere necessariamente anche quelli che non sono ancora arrivati, ovvero le generazioni future, i nostri figli di cui parlava Aulo Magrini. Altrimenti verrà meno la nostra stessa dignità di uomini, che proprio il ricordo dei Partigiani e della gente comune che li ha sostenuti, come avvenne nella valle del Bût, ci hanno insegnato con il loro sacrificio.

Vivano nella nostra memoria le vittime delle stragi del 21 e 22 luglio 1944 nella valle dell’alto Bût.

Viva la Repubblica Italiana e la sua Costituzione e Viva la Resistenza che le ha generate!

Immagine a cura di Annarita De Conti

Presentazione in conferenza stampa Pdl Honsell “Promozione e sviluppo produzione musicale”

Furio Honsell, consigliere regionale di Open Sinistra FVG, ha presentato oggi la proposta di legge n. 139: “Provvedimenti per la promozione, la valorizzazione e lo sviluppo della produzione musicale in FVG”, affiancato da Sabrina Morena, consigliera comunale di Open FVG a Trieste ed operatrice nel settore della cultura, e Mauro Tubetti, in arte DJ Tubet, musicista e rapper friulano.

“Lo scopo di questa legge, che si ispira anche a leggi affini in altre regioni, è quella di favorire l’attività di produzione e formazione musicale mediante la definizione di un piano regionale di settore con cadenza  biennale e il sostegno alla costituzione di un’agenzia sul modello della ‘Film Commission’ e del ‘Fondo per gli Audiovisivi’, non solo per il valore culturale in sé, ma anche per dare una risposta ad un settore nel quale ad oggi operano a vario titolo oltre 7.000 tra artisti e professionisti, spesso con contratti precari, partite IVA o contratti intermittenti o a chiamata. Pertanto, la legge opera a tre livelli: quello dell’associazionismo, quello formativo e quello imprenditoriale, consapevoli che il settore della produzione musicale è stato tra quelli più penalizzati dalla pandemia, ma la musica è invece uno dei vettori più efficaci di coesione sociale e di prevenzione al disagio sociale, relazionale e mentale, che proprio nella pandemia si è acuito. Inoltre, la pluralità linguistica e culturale della nostra regione si riflette significativamente sulla ricchezza della nostra produzione musicale e la sua valorizzazione costituisce un’opportunità sul piano turistico ed imprenditoriale.” Così si è espresso Furio Honsell di Open Sinistra FVG.

Secondo Dj Tubet: “una legge che possa sostenere il comparto musicale promuovendone anche lo sviluppo dei suoi artisti e delle formazioni emergenti operativi sul territorio regionale è un’operazione positiva che da un lato potrebbe mettere a ‘sistema’ le varie realtà regionali e da un lato potrebbe assicurare uno sviluppo futuro. In regione abbiamo diverse eccellenze musicali, che comprendono anche patrimoni inestimabili di musica antica e in lingua minoritaria, che meriterebbero un sostegno negli ambiti di produzione, distribuzione e diffusione di prodotti discografici, studi accademici e spettacoli dal vivo prodotti in regione.”

Sulla medesima lunghezza d’onda Sabrina Morena, che ha affermato che la proposta di legge è importante “perché vuole professionalizzare sempre di più gli artisti e incentivare le reti promuovendo la capacità di fare dei progetti europei che sono il futuro della produzione culturale, dando nel contempo una risposta anche ai rilevanti mutamenti introdotti nel comparto musicale dalle innovazioni tecniche in campo digitale, che hanno portato alla nascita di nuove sensibilità e nuove professionalità che questa legge mira a tutelare e valorizzare.”

Qui il testo della Proposta di legge