Relazione DDL 113 in materia modifiche alla normativa di istruzione e studio universitario

Relazione DDL 113 in materia modifiche alla normativa di istruzione e studio universitario

Sto apportando gli ultimi ritocchi a questa relazione il 20 novembre proprio nella Giornata dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In questo giorno, nel 1989, veniva infatti siglata la Convenzione dell’ONU a favore dei diritti dei minori, il cui art. 29 riguarda proprio il diritto all’educazione. Inviterei tutti i Consiglieri a rileggerla e a interrogarsi sulla sua piena applicazione.

Una legge quale la 113, che affronti il tema del diritto allo studio – emanata in piena crisi sanitaria, economica e scolastica, una crisi che ha sconvolto e continua a sconvolgere la vita dei bambini, dei giovani, delle famiglie, degli insegnanti e delle imprese, una crisi totale, collettiva, planetaria – dovrebbe essere un momento qualificante. Una tale legge lo sarebbe stata anche in tempi meno strani ed emergenziali, visto che l’Italia scivola sempre più in basso nella graduatoria europea per livelli educativi, dispersione scolastico-universitaria e numero di laureati. Purtroppo questa legge non riesce ad essere qualificante.

Ci troviamo infatti di fronte ad un ulteriore esempio di un metodo legislativo al quale questa Giunta ci ha abituati ormai da due anni e mezzo, ovvero un controcanto normativo-burocratico ad un impianto pre-esistente. Il DDL risulta di difficile lettura anche nella forma e necessita pesantemente di un quadro di raffronto per essere decifrabile. Questo non significa che la norma non abbia spunti interessanti e che sia stata accolta positivamente da vari operatori, soprattutto per certe innovazioni burocratiche che scaricano da certe incombenze le scuole e semplificano certi rapporti spesso farraginosi e onerosi che queste sono costrette ad avere con la Regione: l’introduzione del piano triennale, la dote scuola ed altri contributi direttamente alle famiglie, l’individuazione di un interlocutore unico regionale, ovvero l’ARDIS (cioè l’ARDISS senza l’ultima S). Nel DDL 113 vi è inoltre il positivo accoglimento degli articoli della PDL 76 presentata dal Gruppo 5 Selle a prima firma del consigliere Capozzella, che prevede la possibilità di introdurre misure per il contrasto dell’analfabetismo emotivo e funzionale.

Non emergono però nel DDL 113 autentiche strategie che incidano efficacemente sia sulle criticità strutturali del nostro sistema del diritto allo studio sia su quelle emergenziali derivanti dalla crisi che stiamo vivendo. Anzi la filosofia di questa legge rischia di aggravarle.

Con il consueto spirito costruttivo con il quale affrontiamo ormai da una mezza legislatura il nostro ruolo di opposizione cercherò di indicare in modo propositivo cosa avrebbe dovuto informare questa legge e cosa invece non avrebbe dovuto esserci.

In questa epoca di sconvolgimenti la Regione dovrebbe essere a fianco di tutte le iniziative che stanno emergendo spontaneamente e che concorrono a formare ciò che ormai sono chiamate le comunità educanti. I limiti pesanti della didattica a distanza – che pure può avere anche una componente virtuosa nell’alfabetizzazione digitale e può svolgere ruoli importanti in certi ambiti d’istruzione, e quindi non dovrà essere abbandonata o interrotta nemmeno a crisi risolta – possono essere superati solamente riconoscendo che gli spazi scolastici non sono più il solo luogo educativo. Coinvolgendo non solamente tutti i portatori di interesse tradizionalmente coinvolti nell’educazione dei giovani, scuola e famiglia, ma anche la comunità tutta, il territorio (ovvero teatri, biblioteche, musei, spazi di aggregazione, reti virtuali) è possibile interpretare in modo efficace la didattica a distanza!  La Regione dovrebbe favorire e sostenere queste esperienze positive che si sono sviluppate spontaneamente. Dovrebbe agire in modo proattivo da motore per la loro crescita e consolidamento.

Invece la principale criticità di questa legge è proprio il ruolo della Regione. Dal ridimensionamento dei cosiddetti progetti speciali avvenuta con la L.R. 3 del 2019 la Regione ha assunto infatti un ruolo accentratore e dirigista soffocando, invece di favorire, qualsiasi sperimentazione e innovazione. Ma innovazione e centralismo sono una contradictio in adiecto. (Questa mentalità peraltro si riflette anche nella pessima soluzione accettata per i parchi scientifici, ma questa è un’altra storia.)

I progetti speciali di questa legge hanno perduto qualsiasi margine di apertura, si sono irrigiditi in iniziative importanti, ma alle quali manca l’originalità e la creatività che viene dal basso e che è la sola che possa effettivamente creare momenti educativi di comunità. Con amarezza prendiamo atto che la Regione non vuole più sostenere l’innovazione creativa e aggregante che in un momento nel quale nessuno ha la chiave per risolvere i problemi è invece l’unica strategia possibile, a nostro avviso.

È da tempo ormai che ci siamo resi conto che l’apprendimento e l’educazione non avvengono più solamente tra le mura scolastiche. Cosa dobbiamo aspettare per sostenere questa rivoluzione e mettere gli insegnanti nelle condizioni di svolgere appieno il loro ruolo di educatori nel XXI secolo? Una scuola aperta è una scuola sana. L’educazione deve essere riconosciuta come una pratica di welfare di comunità.

La seconda criticità di questa legge è l’assenza di azioni integrate. L’esempio più evidente riguarda la digitalizzazione. È giusto certamente dare risorse a scuole o famiglie per l’acquisto di materiali, ma tutto ciò è inutile se 1) l’infrastruttura telematica non raggiunge tutte le abitazioni e tutte le scuole, 2) le condizioni sociali degli studenti e delle famiglie non permettono di poterle fruire in contesti culturali e spazi alloggiativi adeguati, 3) non viene fornita una consulenza di cosiddetto troubleshooting. Tutti hanno certamente un cellulare ma non è pensabile partecipare in una scuola digitale con lo spirito di chi usa un cellulare. Ci trovavamo di fronte a forti dipendenze da dispositivi telematici ancor prima della crisi. Azioni troppo grossolane in questa direzione, non possono che incrementare questa piaga tremenda e nascosta della nostra società, che prima o poi esploderà. Al riguardo faremo anche un emendamento che aggiungerà all’analfabetismo funzionale anche quello di relazione e l’educazione all’affettività, che già promuovevo a Udine quando ero sindaco nell’ambito dei progetti della rete OMS Città Sane. Riguardo all’analfabetismo emotivo inoltre andrebbe per lo meno chiarito che significa educazione all’empatia, alla tolleranza, alla solidarietà. Come sempre sarebbe utile dare messaggi in positivo accanto all’introduzione di misure che contrastino aspetti negativi.

Tornando all’aspetto della digitalizzazione questa legge non sembra affrontare le tre criticità segnalate sopra né creare le condizioni per lo sviluppo e l’utilizzo di software libero e dei suoi principi di libertà della conoscenza, che nella figura di Richard Stallman e del suo progetto GNU hanno uno degli interpreti più importanti.  Il software libero costa di meno, tutela della privacy degli studenti e permette di affrancare il nostro paese dal colonialismo digitale di cui soffre, creando posti di lavoro creativi.

Inoltre, una legge sul diritto allo studio dovrebbe porsi come obiettivo non solamente la funzionalizzazione di procedure, ma l’introduzione di nuove modalità per ridurre la distanza ormai sempre più grande che separa la media della popolazione dagli ultimi. Nell’ambito di più interventi legislativi recenti ho sottolineato che le norme e i contributi che ultimamente vengono introdotti per il contrasto alle disuguaglianze si concentrano troppo sulla mediana. Rischiano pertanto di aggravare le disparità, in quanto si rivolgono soprattutto a coloro che per così dire “riescono a montare sulla scala meritocratica sociale”, a coloro che già dispongono di risorse, ancorché poche. Le fasce degli ultimi, di chi riesce a fare solamente i primi gradini della scala o nemmeno uno, sono sempre più abbandonate. Non possiamo più permetterci abbandoni o insuccessi educativi né nella scuola, dove forse su base nazionale siamo in una buona posizione, ma solo in media appunto, né tantomeno quelli universitari che sono molto ma molto più numerosi, visto il numero dei nostri laureati. Non possiamo permetterci di perdere nessuno. Se la didattica a distanza raggiunge il 95% degli studenti e non il 100% è un fallimento! Nel mondo dell’educazione il principio a cui ispirarsi è quello evangelico del paradosso di Luca 15 3-7. Cosa mette in campo questa legge per contrastare gli insuccessi e gli abbandoni che poi portano al dramma dei NEET e degli inattivi? Pochissimo. I due termini non compaiono nemmeno nel testo! Ma allora quali sono i problemi che si cerca di risolvere? Come misurare l’efficacia di questa legge?

Un altro tema che ci è stato recentemente sottoposto in VI commissione durante un’audizione degli studenti universitari è quello di sostenere con maggiore vigore le famiglie nel far loro intraprendere scelte universitarie ai loro figli. Altri paesi europei abbattono le tasse universitari in modo significativo. Perché noi non lo facciamo, rendendo questa Regione attraente sotto questo profilo? Perché ci limitiamo a scoprire che abbiamo troppo pochi laureati – come adesso in questa epidemia, e non mi riferisco solamente agli specializzandi medici in favore dei quali avevamo già fatto delle richieste, ma agli infermieri e agli altri operatori della sanità – ma poi ce ne dimentichiamo quando variamo una legge sul diritto allo studio?

C’è un’ulteriore criticità che avevo già segnalato anni fa. Il diritto allo studio non può essere affrontato solamente con un modello a silos, a canne d’organo, da un’unica direzione. È necessario un tavolo inter-assessorile. Tematiche quali la formazione in sanità, l’educazione in salute, i trasporti, la messa in sicurezza degli edifici, l’infrastruttura telematica, il mondo del lavoro e dell’impresa … sono tutti altrettanto rilevanti nel garantire il diritto allo studio, ma coinvolgono altri assessorati. Se non si realizzano azioni integrate continueremo a far scontare ai giovani l’arretratezza strutturale e infrastrutturale della nostra regione.

Un’ultima osservazione. Conobbi l’attuale Presidente Fedriga quando era rappresentante degli studenti all’ERDISU e io ero rettore. Forse, il Presidente mosse i primi passi amministrativi proprio in quel ruolo. Gli enti per il diritto allo studio universitario in molti paesi europei sono gestiti direttamente dagli studenti. Noi in regione abbiamo subito un’involuzione: gli ERDISU sono scomparsi, sono diventati degli enti puramente gestionali e con questa legge vengono resi ulteriormente remoti dal mondo universitario, perché vengono dati loro ulteriori compiti amministrativi. Spero che riceveranno ulteriori dotazioni di personale almeno, che però non sono previste in legge. Si sacrifica comunque un ulteriore spazio di formazione all’altare dell’efficienza. Ma l’utilitarismo non è educativo! E per favore non mi si dica che gli studenti sono contenti, altrimenti sono costretto a riassumervi il racconto The country of the blind di H.G.Wells!

Questa legge contiene certamente tanti spunti, anche positivi, sui quali cercheremo di intervenire per suggerire delle migliorie. In Commissione ci siamo astenuti per i motivi elencati fino a qui. Auspichiamo che possa esserci un accoglimento degli emendamenti che proporremo o per lo meno un riconoscimento negli ordini del giorno delle nostre visioni strategiche. Il nostro voto dipenderà dunque dai lavori d’aula.

Qui il testo del Disegno di Legge

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Furio Honsell administrator

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